Si impenna la curva del contagio da Covid-19 e si iniziano a rincorrere notizie su nuove chiusure/depotenziamenti di reparti e servizi ordinari per pazienti NON Covid-19. Un film purtroppo già visto nel periodo del lockdown che non vogliamo e non dobbiamo rivedere, anche perché dimenticare così facilmente il suo impatto sulla salute dei cittadini è davvero impossibile:
40% di ricoveri ospedalieri in meno rispetto al 2019, una riduzione del 36% di prestazioni di specialistica ambulatoriale, 1,4 milioni di screening oncologici in meno.
Sapevamo della seconda ondata e dovevamo lavorare affinchè il Servizio Sanitario Nazionale non lasciasse indietro nessuno, come è purtroppo accaduto in primavera. Del resto, il tempo lo abbiamo avuto. Avremmo dovuto garantire il “doppio registro” di assistenza: pazienti Covid-19 e NON Covid.
E invece ci risiamo, con la differenza che questa volta alle difficoltà attuali di accesso, dovute all’ondata in atto, si andranno a sommare anche le prestazioni sospese in primavera e non ancora recuperate.
Proprio su questo punto, va riconosciuto al Ministro Speranza il suo impegno per lo stanziamento di circa mezzo miliardo di euro volto al recupero di quelle prestazioni prenotate e poi rinviate.
Ma ora che il problema si sta riproponendo, la domanda obbligatoria da porre subito a tutti quelli che, ai diversi livelli, hanno una responsabilità di governo del Servizio Sanitario Nazionale è: tutte le prestazioni sospese e rinviate durante il lockdown alla fine, almeno queste, sono state recuperate? Le risorse stanziate dal Governo sono state utilizzate da tutte le Regioni?
Del resto è un obiettivo preciso stabilito dal cosiddetto “Decreto Agosto”.
L’art. 29 del Decreto (convertito in Legge) infatti, stanzia quasi 500 milioni di euro per recuperare le prestazioni non erogate e per abbattere così le liste di attesa, puntando molto su specifiche misure per il personale sanitario come ad esempio il ricorso alle prestazioni aggiuntive, il reclutamento di ulteriore personale… Per accedere a tali risorse però le Regioni e le Province autonome di Trento e Bolzano devono provvedere, entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore del decreto, a presentare al Ministero della salute e al Ministero dell’economia e delle finanze un Piano Operativo Regionale per il recupero delle liste di attesa, con la specificazione dei modelli organizzativi prescelti, dei tempi di realizzazione e della destinazione delle risorse.
Quindi, i piani Operativi regionali avrebbero dovuto essere inviati ai Ministeri competenti entro e non oltre metà settembre, praticamente circa 1,5 mesi fa.
A che punto siamo? Quante sono le Regioni che hanno provveduto?
Tutte domande sulle quali, vista la situazione che stiamo vivendo, c’è bisogno del massimo livello di trasparenza.
Domande che dovrebbero ottenere subito una risposta puntuale e pubblica, anche perché, da alcuni approfondimenti svolti, il rischio è che a mancare all’appello possano essere molteplici Regioni, più di quante non dovrebbero essere.
Del resto, anche da questo dipende la qualità e la trasparenza dell’azione di governo del SSN: stanziare le risorse è fondamentale ed è un pezzo importante del ragionamento, ma altrettanto fondamentale è spenderle nei tempi e nei modi giusti, quelli prescritti dalla norma, e darne conto pubblicamente.
In caso contrario si rischia di vanificare lo sforzo sostenuto per lo stanziamento di risorse, e soprattutto, cosa più importante, di farne pagare il prezzo ancora una volta ai pazienti.
Il SSN non può permettersi più un nuovo lockdown dei servizi sanitari per i pazienti NON Covid-19, soprattutto quelli in condizione di fragilità.
Loro non possono aspettare che passi il Covid-19!
TERAMO – L’Opi di Teramo, tramite il presidente Cristian Pediconi, ha presentato una denuncia-querela nei confronti del dottor Roberto Petrella, ex medico della Asl di Teramo, già noto alle cronache e radiato dall’Ordine dei medici per aver sostenuto l’inutilità, e addirittura in alcuni casi gli effetti dannosi, della vaccinazione sulle ragazze di 12 anni contro l’Hpv, cioè il papilloma virus.
“L’azione – viene spiegato in una nota – si è resa necessaria alla luce di un video realizzato e divulgato lo scorso 7 ottobre tramite i canali social dal Petrella sulla questione Covid19 e in particolare sull’impiego dei tamponi effettuati per rilevare la malattia. Nel video, di circa dieci minuti e rilanciato su Facebook dove ha avuto numerose visualizzazioni e commenti, il dottor Petrella non risparmia critiche e attacchi agli infermieri. Parole dure che per l’Opi sono risultate lesive della dignità della professione al punto da configurarsi, a parere dell’Ordine, il reato di diffamazione”.
“In alcuni passaggi del filmato il Petrella parla di come verrebbero eseguiti i tamponi e dell’incapacità degli infermieri di condurre questo tipo di esame. Per il medico – viene aggiunto -, gli infermieri non hanno le competenze, le conoscenze e le capacità per eseguire i tamponi ed anzi con la loro condotta metterebbero a rischio la salute e l’integrità fisica dei pazienti. Parole e illazioni inaccettabili per l’Opi che rappresenta gli infermieri ed è chiamato a tutelarne la professionalità”.
Questi alcuni dei passaggi ritenuti lesivi della professionalità della categoria contenuti nel video: “Da parte degli operatori sanitari non è risultato essere rispettato un certo iter nell’esecuzione delle procedure…poiché il tampone viene fatto da una infermiera o chi per essa che senza un anamnesi e senza visita specialistica non è in grado di rilevare patologie in atto”.