Seconda estate con la pandemia di Covid-19. Il bel tempo e i vaccini sono gli alleati migliori che consentiranno di tornare a una maggiore socialità, soprattutto per quanto riguarda bambini e ragazzi. È importante però non abbassare eccessivamente la guardia e continuare a seguire le precauzioni che sono diventate parte della vita comune nell’ultimo anno. Nel nuovo numero di ‘A scuola di salute’, il magazine digitale a cura dell’Istituto per la Salute, diretto dal prof. Alberto G. Ugazio, gli esperti del Bambino Gesù spiegano le regole per vivere un’estate in sicurezza.
«Abbiamo dovuto applicare importanti restrizioni sociali per prevenire la trasmissione di Covid-19 – spiega il dottor Alberto Tozzi, responsabile dell’area di ricerca di malattie multifattoriali e complesse del Bambino Gesù - e l’abbiamo fatto con discreto successo, ma il disagio dei bambini e dei ragazzi che per lungo tempo non hanno potuto più vivere fisicamente la comunità scolastica e in definitiva quella dei propri amici, è stato grande. Abbiamo subìto un repentino e profondo cambiamento».
La possibilità di riprendere una vita sociale è legata prevalentemente a due fattori, tra loro correlati: la riduzione della circolazione del virus e il numero delle persone completamente vaccinate, cioè coloro che hanno completato il ciclo vaccinale da almeno 2 settimane.
È plausibile che il SARS-CoV-2, il virus che causa il Covid-19, si comporti stagionalmente, che sia cioè più diffuso in inverno e meno in estate. Gli altri quattro Coronavirus che circolano comunemente negli esseri umani si comportano in questo modo. D’estate inoltre si trascorre più tempo all'aperto, dove il rischio di infezione è molto più basso e si seguono stili di vita più attivi, che possono aumentare la capacità del corpo di resistere alle infezioni.
Anche la maggiore esposizione alla luce solare, che aumenta i livelli di vitamina D, porterà benefici poiché rafforza il nostro sistema immunitario. È però importante continuare a mantenere una certa distanza (minimo un metro) tra le persone con cui non si convive, lavarsi spesso le mani, e quando ci si trova in posti affollati, soprattutto al chiuso, è importante indossare sempre la mascherina.
Alla ripresa delle attività sociali contribuisce in modo sostanziale la campagna vaccinale: le Autorità di controllo sanitario europea e statunitense (ECDC e CDC) si sono pronunciate a favore di un ‘allentamento’ delle raccomandazioni sulla distanza fisica e sull'uso di mascherine tra persone vaccinate. In particolare quando i soggetti che hanno concluso il ciclo vaccinale si incontrano tra loro e quando persone non vaccinate incontrano individui completamente vaccinati, sempre che non siano anziani né soggetti a rischio per altre patologie (es. immunosoppressione, altre malattie gravi). Invece negli spazi pubblici e nei grandi raduni, ma anche durante i viaggi (aereo, treno, autobus) mascherine e distanze devono essere mantenute indipendentemente dallo stato di vaccinazione degli individui. www.ospedalebambinogesu.it
Recovery Plan: infermieri in pista sul territorio tra Case e Ospedali di Comunità e Centrali operative territoriali, per le quali, come ha indicato anche l’Agenas, l’infermiere di famiglia e Comunità è il candidato ideale al ruolo di case manager.
La Centrale Operativa Territoriale è uno strumento organizzativo innovativo che svolge una funzione di coordinamento della presa in carico del cittadino/paziente e raccordo tra servizi e soggetti coinvolti nel processo assistenziale nei diversi setting assistenziali: attività territoriali, sanitarie e sociosanitarie, ospedaliere e della rete di emergenza-urgenza.
L’obiettivo è assicurare continuità, accessibilità ed integrazione dell’assistenza sanitaria e sociosanitaria, attraverso un servizio rivolto prevalentemente ad operatori sanitari e sociosanitari: un ruolo in cui gli infermieri hanno dimostrato non solo durante la pandemia la loro professionalità.
E se resta comunque un dato di fatto la carenza di infermieri rispetto alla quale l’Italia è tra i fanalini di coda dell’UE, è forte e chiara l’evidenza dell’impegno di oltre 26mila unità con contratti di varia natura, flessibili e non, durante la pandemia e per affrontare il post-Covid e recuperare tutte le prestazioni rimaste indietro: gli infermieri ci sono.
“Gli infermieri – spiega la presidente della Federazione nazionale degli ordini delle professioni infermieristiche Barbara Mangiacavalli – conoscono e agiscono sul territorio, sono stati quelli che insieme ad altri professionisti, sono andati nelle case delle persone durante la pandemia. Abbiamo avuto l’ennesima conferma – continua – delle situazioni di fragilità, di mancata assistenza, di solitudine e isolamento, e come facciamo da anni ci siamo spesi per garantire il possibile nel prendersi carico della salute dei nostri assistiti e per questo siamo in pole position per il ruolo di team leader nel disegno del PNRR”.
“Lo rivendichiamo nel contenuto – afferma ancora Mangiacavalli – e non nel contenitore: non se ne può più di sentir parlare di ‘contenitori’ e di leggere articoli in cui si discute se si deve chiamare in un modo piuttosto che in un altro o in cui ci si riferisce ancora a questioni ormai inesistenti di gerarchia”.
“Spero che la forza del PNRR – sottolinea – sia quella di rivedere e innovare modelli, spero che la forza stia nel non ragionare più di contenitori e gerarchie. Si raccomanda l’équipe multiprofessionale in cui deve esserci un team leader che rappresenta la professione che risponde al bisogno prioritario trovato in quella famiglia, in quella comunità, in quel singolo”.
“Allora – spiega la presidente FNOPI – costruiamo il team leader sul bisogno prevalente che sia sanitario, sociale, sociosanitario, socioassistenziale: i meccanismi di lavoro non possono essere gerarchizzati secondo modelli precostituiti, ma deve esserci un adattamento reciproco, non la standardizzazione delle competenze, ma la standardizzazione della formazione. Questa è una vera équipe multiprofessionale e questa è l’organizzazione che ci aspettiamo dalle Regioni. Gli infermieri saranno al fianco di quelle che vogliono costruire davvero il nuovo modello, ma con altrettanta forza respingeranno ogni ipotesi di rimanere ancorati a vecchi schemi precostituiti”. www.fnopi.it
L’infermiere di famiglia è la figura centrale nei casi più gravi di Long-Covid.
Ad affermarlo è il rapporto su “Indicazioni ad interim sui principi di gestione del Long-COVID” dell’Istituto Superiore di Sanità.
Il rapporto è nato dal presupposto che al termine della fase acuta di infezione da Sars-CoV-2, si possono verificare manifestazioni cliniche, spesso croniche, che precludono un pieno ritorno al precedente stato di salute.
Le cure nei pazienti con Long-COVID caratterizzati da gradi di complessità clinica non elevati possono essere, secondo il rapporto, coordinate e gestite dal medico di medicina generale.
Nei pazienti più complessi le cure possono essere gestite in altro contesto (es. ospedale), purché permanga sempre un contatto diretto con l’MMG che ha in cura l’assistito.
E per coordinare l’assistenza nei casi più complessi può essere utilizzata la figura dell’infermiere di famiglia o di comunità, introdotta dal decreto-legge n. 34 del 2020, c.d. “Decreto Rilancio”, convertito con Legge n. 77/2020, al fine di rafforzare i servizi infermieristici territoriali.
A distanza di oltre un anno dall’inizio della pandemia da SARS-CoV-2, secondo il rapporto è ormai chiaro che per un numero importante di persone colpite da COVID-19 le manifestazioni cliniche non si esauriscono nelle prime settimane della fase acuta sintomatica, ma possono prolungarsi con un eterogeneo complesso di manifestazioni cliniche subacute e croniche che precludono un pieno ritorno al precedente stato di salute.
Questa condizione di persistenza di sintomi, che può riguardare soggetti di qualunque età e con varia severità della fase acuta di malattia, è stata riconosciuta come una entità clinica specifica, denominata Long-COVID.
Sebbene l’ampiezza dello spettro sintomatologico renda complesso definirne quadro clinico ed epidemiologia, spiega il rapporto, la condizione ha un rilevante impatto clinico, che ha richiesto dal punto di vista della presa in carico appositi provvedimenti e stanziamenti e la creazione di percorsi locali di diagnosi e assistenza basati su un approccio multidisciplinare e in questo senso il rapporto segnala il riconoscimento dell’infermiere di famiglia quale figura centrale nei casi più gravi.