Valorizzare il ruolo dell’infermiere in ambito oncoematologico può avere risvolti positivi sia a livello di pressione su medici e strutture sanitarie sia a livello di assistenza ospedaliera e domiciliare a pazienti e caregivers. Fornire linee di indirizzo alle strutture ospedaliere per ridefinire al meglio il ruolo dell’infermiere nei reparti di oncoematologia e in assistenza domiciliare è stato l’obiettivo del progetto EMATONurse, sostenuto incondizionatamente da Roche, che ha portato alla redazione di un documento condiviso da oncologi specializzati nella cura dei linfomi, infermieri dei reparti di oncoematologia, farmacisti ospedalieri e rappresentati delle associazioni pazienti.
La discussione che ha portato alla stesura del documento, fruibile dai reparti di oncoematologia, ha fatto emergere innanzitutto la necessità di implementare una formazione ‘professionalizzante’ specifica per patologia, anche per l’infermiere. Allo stato attuale, comunque, la formazione in reparto resta centrale, con l’infermiere che deve avere competenze su tutte le fasi del processo di somministrazione dei protocolli terapeutici.
Il documento raccoglie anche raccomandazioni pratiche su come gestire la somministrazione delle terapie, con particolare attenzione all’eventuale presentazione di eventi avversi. Ampio spazio, infatti, è stato dato alla gestione del percorso clinico-assistenziale, dalla presa in carico alla dimissione del paziente, che dovrebbe essere accompagnata anche da una lettera di dimissioni infermieristica, fino all’assistenza domiciliare.
Infine, sono stati raccolti i desiderata dei pazienti che, tramite le associazioni che li rappresentano, hanno evidenziato la necessità di essere resi co-protagonisti del loro percorso di cura. https://www.popsci.it/
Si è conclusa, ed è stata inviata al Ministro della salute Roberto Speranza e ai vertici delle Istituzioni sanitarie italiane, la prima edizione dell’indagine SIEMS (Società Italiana Emergenza Sanitaria) e SIIET (Società Italiana Infermieri Emergenza Territoriale) sul sistema di Emergenza Sanitaria, che conferma la necessità di una sua radicale riforma.
L’analisi di tutti i dati raccolti a livello provinciale rileva infatti le significative difformità di tipo organizzativo, gestionale e operativo tra le diverse realtà, anche tra province della stessa regione, a partire dalla diversità dei mezzi di soccorso utilizzati fino ai protocolli applicati in emergenza (in ben 74 province, ad esempio, non esistono protocolli che prevedono la somministrazione di farmaci o procedure salvavita da parte degli infermieri).
La survey fa inoltre emergere con ancora più chiarezza l’eterogeneità di estrazione, formazione ed esperienza del personale operativo nel sistema di soccorso pre-ospedaliero. Solo il 53,6% delle realtà intervistate, ad esempio, prevede requisiti di ingresso in cui è richiesta sia l’esperienza in area critica che un percorso formativo per la gestione delle emergenze. In molte altre realtà sono richiesti solo requisiti formativi (19%), oppure esperienziali (13,6%). Nel 12% dei casi non è richiesto alcun requisito specifico, per accedere al servizio sui mezzi di soccorso avanzato. In queste realtà si ritiene adeguato che la formazione possa essere effettuata in itinere e l’esperienza acquisita “sul campo”, senza considerare che ciò espone a gravi rischi le persone soccorse, ma anche gli operatori e le organizzazioni stesse.
Una formazione che deve procedere di pari passo con un inquadramento della figura di soccorritore e autista soccorritore: sui mezzi di base e sulla quasi totalità dei mezzi di soccorso avanzato, infatti, sono presenti soccorritori e autisti soccorritori ma la loro figura, così ampiamente rappresentata nel sistema di soccorso pre ospedaliero su tutto in territorio nazionale, attende ancora di essere riconosciuta a livello normativo attraverso un atto che ne definisca ruolo, competenze e percorsi formativi omogenei e validi sull’intero territorio italiano.
“La ricerca mostra chiaramente –affermano Mario Costa e Roberto Romano, rispettivamente presidenti SIEMS e SIIET – come non siano più differibili una riorganizzazione omogenea delle risorse e un coordinamento centrale, ad oggi totalmente assente, di un sistema che è riuscito a reggere l’onda d’urto dell’emergenza Covid-19 grazie al fortissimo senso di responsabilità di tutto il personale coinvolto ma che ha mostrato la sua debolezza proprio nell’assenza di una regia” E sulla survey “Lavoreremo per poter rilanciare l’indagine con il focus sui costi del sistema, sui tempi di intervento e soprattutto sull’esito delle cure prestate ai cittadini”. www.fnopi.it
In Italia muoiono ogni anno 10.780 persone per infezioni ospedaliere da antibiotico-resistenza. Entro il 2050 poi, saranno circa 450mila le persone che moriranno e questo fenomeno sarà costato al nostro Paese almeno 12 miliardi di euro.
A lanciare l’allarme è l’ultimo censimento della Società nazionale degli infermieri specialisti del rischio infettivo (ANIPIO), condotto a fine 2019, poco prima dello scoppio della pandemia, e aggiornato a ottobre 2021.
Inadeguata, secondo ANIPIO, anche la formazione degli operatori sanitari e sociosanitari per quanto riguarda la prevenzione, il controllo e la sorveglianza delle infezioni ospedaliere (ICA) e forti anche le carenze strutturali e tecnologiche.
Le cause identificate sono in particolare nella carenza di personale (infermieri specializzati e medici igienisti) e nella malpractice prescrittiva
A questi si somma il ‘disinvestimento’ in professionisti con un’adeguata formazione per ricoprire il ruolo di medico igienista o di infermiere specialista nel rischio infettivo (ISRI), a vantaggio di reti cliniche di infermieri e di medici che – anche se indispensabili – non possono controbilanciare adeguatamente ed efficacemente la carenza di competenze di governo del rischio infettivo, che sono invece proprie di un ISRI.
Gli infermieri specialisti che l’ANIPIO ha censito in tutte le strutture pubbliche italiane sono in tutto 497, di cui 42 hanno iniziato questa attività in occasione della pandemia, ma, anche secondo gli standard fissati dallo stesso ministero (circolare ministero sanità 8/1988) ne servirebbero circa il doppio, così come a occuparsi delle infezioni ospedaliere nelle strutture dovrebbero esserci anche medici igienisti che oggi mancano all’appello per questo compito specifico
A di là dei numeri però, ANIPIO, in raccordo con la Federazione nazionale degli ordini delle professioni infermieristiche (FNOPI), ribadisce e rilancia prima di tutto gli alert già lanciati a livello europeo dall’ECDC (il Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie) in occasione della Country visit del 2017:
manca un supporto istituzionale a livello nazionale, regionale e locale;
manca una leadership professionale a tutti i livelli;
manca un atteggiamento responsabile a tutti i livelli;
manca un coordinamento nell’azione tra i vari livelli e al loro interno;
scarsa consapevolezza in merito all’urgenza in tema di antimicrobicoresistenza (AMR) da parte della maggior parte degli stakeholder e una scarsa tendenza a farsi carico del problema.
E per riparare a queste mancanze, ANIPIO e FNOPI parlano chiaro: servono infermieri specializzati nelle ICA, ma non c’è un inquadramento normativo che possa valorizzarli anche con adeguati staffing (organizzazione del personale).
È necessario colmare questi vuoti per governare efficacemente il rischio infettivo;ANIPIO e FNOPI propongono di prevedere più personale formato, più infermieri specializzati e una normativa ad hoc aggiornata e consapevole del quadro che emerge dalle infezioni ospedaliere per l’Italia.
I fondi del PNRR possono adeguatamente soddisfare tali bisogni, grazie alla Missione 6, dedicata alla salute e orientata allo sviluppo delle competenze tecniche, professionali, digitali e manageriali del personale del sistema sanitario.
Con tre punti di forza:
l’avvio di un piano straordinario di formazione sulle infezioni ospedaliere a tutto il personale sanitario e non sanitario degli ospedali;
il potenziamento delle competenze tecniche, digitali e manageriali del personale del sistema sanitario avverrà attraverso un programma di assegnazione di borse di studio ed erogazione di corsi di formazione specifici da realizzare entro l’orizzonte del PNRR (metà 2026). Il costo complessivo di questi interventi è stimato in 0,74 miliardi;
un piano straordinario di formazione sulle infezioni ospedaliere (con circa 150.000 partecipanti entro la fine del 2024 e circa 140.000 entro metà 2026).
“In questa ottica e per far rientrare questo e anche molti altri allarmi nell’assistenza – sottolinea Barbara Mangiacavalli, presidente FNOPI – è necessario concretizzare le specializzazioni infermieristiche grazie alla crescita della formazione, come già avviene nel resto d’Europa: rappresenta una delle strade imprescindibili della formazione professionale e di tutto il sistema sanitario. Per raggiungere la qualificazione delle competenze del personale infermieristico – prosegue – è necessario porsi come obiettivo minimo, da realizzarsi entro un decennio, la disponibilità almeno del 20% dei professionisti a elevata specializzazione nelle diverse aree dell’assistenza. Ma per farlo abbiamo bisogno di lavorare insieme, risolvendo la carenza di organici che sta minando l’assistenza, aumentando la specializzazione degli infermieri e dando loro sempre maggiore specificità”.
“La situazione è preoccupante – mette in guardia Maria Mongardi, presidente ANIPIO – e occorre investire su professionisti con competenze specifiche nell’infection control per contribuire anche a salvare vite umane. A partire dalle evidenze emerse con la pandemia Covid-19, oggi ci auguriamo che in Italia lo stato dei professionisti della prevenzione e del controllo delle infezioni possa migliorare. È necessario investire – aggiunge – su infermieri specialisti del rischio infettivo e medici igienisti che oggi affrontano sfide uniche per la natura dell’ambiente di cura e della popolazione residente che invecchia”.