Policlinico Universitario A. Gemelli di Roma, Grande Ospedale Metropolitano Niguarda di Milano, Policlinico Sant'Orsola-Malpighi di Bologna, Ospedale San Raffaele - Gruppo San Donato di Milano, Istituto Clinico Humanitas di Rozzano (MI), Azienda Ospedaliera di Padova: sono questi i sei ospedali italiani che Newsweek e Statista collocano tra i primi 100 migliori ospedali del Mondo nella loro tradizionale classifica annuale riferita al 2022.
Ai vertici mondiali, secondo il settimanale americano e l’istituto di statistica che ha stilato la classifica, si collocano tre nosocomi statunitensi: la Mayo Clinic di Rochester, la Cleveland Clinic di Cleveland e il Massachusetts General Hospital di Boston.
Il primo ospedale europeo classificato è il Charité - Universitätsmedizin Berlin di Berlino che troviamo al 5° posto.
I primi tre italiani sono il Gemelli di Roma che si colloca al 37° posto in classifica, il Niguarda al 50° e il Sant’Orsola che si piazza al 60°
L’Italia conta poi altri 10 ospedali tra i primi 250: Ospedale Borgo Trento di Verona (115° posto in classifica), Policlinico San Matteo di Pavia (116°), Ospedale Papa Giovanni XXIII di di Bergamo (119°), IRCCS Arcispedale Santa Maria Nuova di Reggio Emilia (125°) e poi Azienda Ospedaliero Universitaria Careggi di Firenze, Ospedale di Parma, Ospedale Sacro Cuore Don Calabria di Negrar (VR), Ospedale San Raffaele Turro - Gruppo San Donato a Milano, Presidio Ospedaliero Molinette - A.O.U. Città della Salute e della Scienza di Torino e Presidio Ospedaliero Spedali Civili di Brescia che si collocano tra il 151° e il 250° posto in classifica.
La classifica di Newsweek include in tutto 112 ospedali italiani.
Le classifiche di quest'anno, speiga Newsweek, “rappresentano un universo ampliato, con tre nuovi paesi nell'elenco - Colombia, Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti - che portano il totale a oltre 2.200 ospedali in 27 paesi”.
“I risultati - prosegue il settimanale Usa - mostrano un notevole spaccato di eccellenza in tutto il mondo: ventuno paesi sono rappresentati nella top 150 mondiale. Gli Stati Uniti guidano con 33 ospedali, seguiti dalla Germania con 14; Italia e Francia con 10 ciascuno; e la Corea del Sud con otto”.
Metodologia
La classifica The World's Best Hospitals 2022 elenca i migliori ospedali in 27 paesi: Stati Uniti, Germania, Giappone, Corea del Sud, Francia, Italia, Regno Unito, Spagna, Brasile, Canada, India, Australia, Messico, Paesi Bassi, Austria, Thailandia , Svizzera, Svezia, Belgio, Finlandia, Norvegia, Danimarca, Israele, Singapore, Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti e Colombia.
I paesi sono stati selezionati in base a molteplici fattori di comparabilità, come tenore di vita/aspettativa di vita, dimensione della popolazione, numero di ospedali e disponibilità dei dati.
Gli elenchi si basano su tre fonti di dati:
1. Oltre 80.0000 esperti medici (medici, dirigenti ospedalieri, operatori sanitari) in 27 paesi sono stati invitati a partecipare al sondaggio online. Ai partecipanti è stato chiesto di raccomandare ospedali nel proprio paese così come in altri paesi. Non erano consentite raccomandazioni per il proprio datore di lavoro/ospedale.
2. Risultati delle indagini sull'esperienza dei pazienti. I dati pubblicamente disponibili provenienti da indagini sui pazienti esistenti sono stati utilizzati per analizzare l'esperienza dei pazienti. Le indagini sui pazienti sono generalmente condotte dalle compagnie di assicurazione tra i pazienti dopo il ricovero. Esempi di argomenti di indagine includono: soddisfazione generale per l'ospedale, raccomandazione dell'ospedale e soddisfazione per l'assistenza medica.
3. Indicatori chiave di prestazione medica (KPI) sugli ospedali, ad esempio dati sulla qualità del trattamento e misure igieniche. Per la maggior parte dei paesi sono stati raccolti KPI da una varietà di fonti pubbliche. I KPI differiscono tra i paesi. Esempi di dati inclusi sono i dati sulla qualità dell'assistenza per trattamenti specifici, i dati sulle misure igieniche e sulla sicurezza dei pazienti ei dati sul numero di pazienti per medico e per infermiere.
I punteggi sono stati calcolati per ciascun ospedale in ciascuna delle tre categorie e ponderati: raccomandazione dei pari (50% nazionale, 5% internazionale), esperienza del paziente (15%), KPI medici (30%).
Ogni ospedale in ogni paese è valutato da un punteggio. I punteggi sono comparabili solo tra gli ospedali dello stesso paese, perché in ciascun paese sono state esaminate fonti diverse per l'esperienza del paziente e KPI medici. Poiché non è stato possibile armonizzare questi dati, non è possibile confrontare i punteggi tra paesi (un punteggio di 90 nel paese A non significa necessariamente che questo ospedale sia migliore di un ospedale con un punteggio di 87 nel paese B) .
Le graduatorie preliminari sono state inviate a una rete internazionale di giornalisti medici per i controlli di plausibilità. Un consiglio globale di rinomati esperti medici ha convalidato le classifiche.
Il numero di ospedali assegnati in ciascun paese varia in base al numero di ospedali e alla disponibilità dei dati nel rispettivo paese. Gli Stati Uniti avevano il maggior numero di ospedali premiati con 420, mentre Israele e Singapore erano rappresentati con 10 ospedali ciascuno. In totale, per questa quarta edizione della classifica, sono stati classificati più di 2.200 ospedali.le future edizioni della classifica. www.quotidianosanita.it
Pubblichiamo l’intervento della Presidente della Federazione nazionale degli ordini delle professioni infermieristiche agli Stati Generali della Comunicazione per la Salute organizzati da da Federsanità, in collaborazione con PA Social.
di Barbara Mangiacavalli
Gli Stati generali della Comunicazione per la Salute sono caratterizzati da una parola su tutte: comunicazione.
Mi piace quindi usare la radice, l’etimologia di questo termine, per capire insieme a tutti voi cosa possiamo oggi “mettere in comune”, su cosa possiamo, seppur rapidamente, confrontarci per mettere le basi per un cambiamento di paradigma, per favorire un nuovo approccio culturale da parte dei media al settore della comunicazione sanitaria e della salute.
Noi infermieri, in primo luogo, ci teniamo a comunicare, a mettere in comune, a condividere con tutti voi, chi siamo.
Rispetto a quello che facciamo e a cosa rappresentiamo per il cittadino, invece, non penso vadano spese ulteriori spiegazioni. Dopo i due anni di pandemia, solo qualcuno in malafede può ancora affermare di non sapere quale sia l’essenziale contributo degli infermieri nel Servizio sanitario nazionale e nella nostra comunità in generale.
Rispetto al “chi siamo”, approfitto di questi stati generali per riepilogare che gli infermieri in Italia sono oltre 456mila, che la professione è ormai caratterizzata anche da una consistente componente maschile (quasi il 25%, un quarto del totale), che il nuovo infermiere è un professionista laureato e sempre più frequentemente specializzato mediante master e percorsi di alta formazione post-universitaria.
Dico questo per affrontare uno dei primi “nodi” che vorrei mettere in comune stamane, per provare a sciogliere, contando anche sulla presenza del presidente dell’Ordine dei Giornalisti.
L’infermiere però che ho l’onere e l’onore di rappresentare è un professionista laureato spesso con anche percorsi formativi universitari post-laurea di specializzazione, di perfezionamento, di dottorato di ricerca. È un infermiere che ha competenze specialistiche, che entra all’interno dell’équipe professionale con competenza e autorevolezza, con la possibilità di interagire con gli altri componenti dell’équipe per realizzare quel processo individuale di cura e di assistenza su ogni singolo cittadino.
Ci sono però alcuni nodi, c’è una certa stampa, una certa televisione, che è rimasta per così dire “affezionata” a una vecchia e retorica rappresentazione dell’infermiere, ma più in generale di tutte le professioni sanitarie.
Non è un problema giornalistico, sia chiaro, e non è un problema patito solo dalla nostra professione: noi infermieri non siamo gli unici, infatti, ad aver sofferto per certe rappresentazioni non proprio edificanti nel passato: si pensi alle commedie sexy degli anni 70 ma anche al famoso medico della mutua interpretato da Alberto Sordi.
L’infermiere in tv viene spesso presentato e rappresentato come giovane donna, mediamente attraente e mediamente innamorata di un medico, impegnata in mansioni puramente pratiche e strumentali. Nessuno mai ci chiama dottori, malgrado la laurea, ma con il cognome o addirittura con il solo nome di battesimo, se si tratta di una donna infermiera.
Sulla stampa e sui social, poi, ci sono poi tanti termini inesatti che vengono normalmente usati per descrivere la professione che rappresento: il vituperato paramedico che è una brutta trasposizione di un linguaggio anglosassone dove li affonda le radici in un altro tipo di culture ha tutt’altra valenza e significato. Caposala (da vent’anni esiste l’infermiere coordinatore). Infermiere professionale (retaggio delle vecchie scuole di formazione professionale regionali), paramedico (un termine coniato dal contesto nordamericano, del tutto diverso dal nostro), o anche infermiere della Croce Rossa (la Croce Rossa, come si sa, svolge la sua encomiabile opera essenzialmente con volontari, non necessariamente laureati in Infermieristica o in Medicina).
La pandemia ha acceso un enorme riflettore sulle professioni sanitarie, infarcendo la cronaca anche con tanta retorica (chiamandoci eroi, angeli, missionari) ed è quindi proprio ora che ha senso “tirare una linea” per ripartire con slancio, anche nel delicato settore della comunicazione sanitaria, favorendo un cambio di mentalità nel racconto del nostro sistema salute, che tra l’altro resta uno dei più invidiati al mondo.
Approfitto dunque di questa occasione, e del ruolo istituzionale ricoperto da un’organizzazione come Federsanità, per lanciare una prima modesta proposta, da questi Stati generali.
Potrebbe partire da qui un educato ma fermo appello a tutti gli attuali player del mercato delle fiction tv per chiedere una cosa semplice e a costo zero per loro: che nella fase di scrittura e nell’allestimento delle scenografie si interpellino gratuitamente, tramite Federsanità, noi professioni sanitarie, noi aziende sanitarie e ospedaliere, per descrivere e rappresentare in modo coerente i contesti professionali, sanitari e ospedalieri che ci vedono coinvolti. Eviterebbero degli scivoloni loro, e aumenterebbe di molto il gradimento da parte del pubblico.
Come Federazione nazionale Infermieri abbiamo appena concluso con successo un progetto, in ambito teatrale, che andava più o meno nella stessa direzione, proprio qui a Roma, e per giunta a cavallo della pandemia.
Nel 2019, infatti, quando il covid ancora non aveva fatto capolino, abbiamo concretizzato con il Teatro di Roma, la possibilità di realizzare uno spettacolo teatrale sul vissuto degli infermieri, ma con un approccio del tutto diverso rispetto al passato.
Come FNOPI abbiamo messo a disposizione del regista un gruppo di infermieri “veri”, di varie regioni, di diverse età e formazione, di reparti e setting assistenziali diversi, per fare in modo che il regista Roberto Gandini e i suoi autori potessero assorbire, mediante giornate di workshop qui a Roma, al teatro di Villa Torlonia proprio a due passi da qui e al laboratorio “Pietro Gabrielli” a Trastevere, il loro gergo, la loro gestualità, il modo con cui affrontano la vita, la morte, la malattia, la vita privata, le aspirazioni personali e di carriera.
E dopo questa fase di ascolto, questi infermieri veri hanno trascorso del tempo con gli attori che li avrebbero interpretati sul palco. Ed è successo il miracolo: è andato in scena, lo scorso ottobre al teatro india in prima nazionale lo spettacolo “La notte di capodanno”, il racconto vero, dal di dentro, di un movimentato turno di notte in un ospedale l’ultimo giorno dell’anno e il pubblico, e certamente anche noi infermieri, ha gradito, affollando tutte le sere, per una settimana il teatro. Uno spettacolo che abbiamo poi proposto al nostro congresso nazionale di dicembre, sempre a Roma all’Ambra Jovinelli, e che si appresta, nel 2022, a iniziare un tour in tutta Italia.
Ci si potrebbe obiettare: ma come, un Ordine entra nella produzione di un’opera teatrale? Ma la sfida è proprio questa, farci conoscere meglio, ma senza arroganza, senza impartire lezioni: piuttosto collaborando, creando empatia, facendo realmente comprendere chi siamo, cosa siamo diventati, quale sia il nostro orizzonte futuro.
E chiudo proprio sul futuro, sul futuro della nostra professione e, mi permetto di dire, il futuro del nostro sistema salute nazionale.
Molto presto l’infermiere di famiglia e di comunità, così come da anni il medico di medicina generale, sarà non solo una formula astratta, ma sarà una figura che entrerà in contatto con ciascun cittadino, in ogni parte di Italia, come punto di riferimento essenziale e irrinunciabile al di fuori del contesto ospedaliero, sempre più votato alle acuzie.
“Ovunque per il bene di tutti” è il titolo che abbiamo dato al nostro congresso itinerante, che dal 12 maggio 2021 ci sta consentendo di fare tappa in tutte le regioni d’Italia per premiare e documentare le buone pratiche infermieristiche che già realizzano sul territorio un’assistenza di eccellenza slegata dai vecchi modelli organizzativi.
E anche in questo caso ci siamo detti che sarebbe stato un peccato non raccontare questo nuovo modo di essere infermieri, soprattutto dopo tutta questa narrazione giocoforza ospedalocentrica dovuta ai due anni di covid.
Con la squadra di Clipper Media e con il regista Gianluca Rame, il nostro Ufficio Stampa e Comunicazione sta costruendo un documentario, che speriamo possa approdare anche in tv o su qualche piattaforma, che mostra i nostri infermieri impegnati, da protagonisti e con ruoli di elevata responsabilità, in setting assistenziali all’avanguardia: nel campo della salute mentale e dell’abitare supportato a Bolzano; nei gruppi di cammino per anziani in Val Trebbia; in una casa della salute avveniristica a Forlimpopoli; tra i minatori della cave di Carrara o a fare educazione sanitaria in palazzine occupate nella periferia di Macerata. Infermiere pediatriche che seguono a distanza, nel Napoletano, i primi mille giorni di vita dei neonati grazie al telenursing o colleghi che, sempre mediante la tecnologia, hanno sviluppato pienamente il concetto di teleassistenza nella provincia di Foggia, dove siamo stati proprio pochi giorni fa.
Ovviamente una buona comunicazione dobbiamo farla anche noi infermieri, usando in modo appropriato i mezzi a nostra disposizione. Per questo, nel nuovo codice deontologico abbiamo particolarmente insistito nell’inserire un articolo specifico, l’articolo 28, che recita: “L’Infermiere nella comunicazione, anche attraverso mezzi informatici e social media, si comporta con decoro, correttezza, rispetto, trasparenza e veridicità; tutela la riservatezza delle persone e degli assistiti ponendo particolare attenzione nel pubblicare dati e immagini che possano ledere i singoli, le istituzioni, il decoro e l’immagine della professione”.
Proprio sul futuro della professione che rappresento, faccio alcune considerazioni.
Stiamo lavorando in maniera importante con le istituzioni con il ministero della Salute con l’Istituto Superiore con Agenas con la Fnomceo per provare a connotare questo cambio di paradigma anche organizzativo culturale assistenziale che deve entrare nel sistema nel nostro sistema sanitario sociosanitario.
Ovviamente tutto questo è dentro la cornice della deontologia professionale, come abbiamo sancito con il codice deontologico che abbiamo ridefinito e aggiornato nel 2019 e che mette a punto molte definizioni etiche. L’articolo 28, a proposito della comunicazione – perché ovviamente non possiamo chiedere la collaborazione e la riflessione di chi si occupa di comunicazione per attività professionale e non fare anche noi la nostra parte – abbiamo determinato che l’infermiere, anche attraverso mezzi informatici e social media, debba comportarsi con decoro, correttezza, rispetto, trasparenza e veridicità. Debba tutelare la riservatezza delle persone degli assistiti ponendo particolare attenzione nel pubblicare dati e immagini che possono ledere i singoli le istituzioni il decoro e l’immagine della professione.
Quindi, con queste parole che sono la nostra Carta valoriale principale, testimoniamo anche l’impegno di una buona comunicazione che assumiamo noi infermieri per primi nei confronti delle altre professioni, della professione di giornalista, ma anche nei confronti del cittadino sperando di “contaminarci” in senso positivo a vicenda, perché veramente si possa tirare una linea e guardare al futuro rispetto a un nuovo paradigma della comunicazione, ma anche rispetto a una sinergia, una interconnessione tra chi fa comunicazione e chi deve pensare al contenuto che deve essere comunicato affinché si possa veramente fare un servizio utile al Paese ai nostri cittadini, ma anche alle professioni che ognuno per la propria parte rappresenta in questo consesto. www.fnopi.it
Il 4 marzo ricorre il World Obesity Day, la Giornata Mondiale dell'Obesità, istituita nel 2015 dalla World Obesity Federation, che coinvolge organizzazioni, associazioni e individui, con l’obiettivo ambizioso di invertire la crisi globale dell'obesità. La giornata ha lo scopo di sensibilizzare cittadini e istituzioni e di incoraggiare la prevenzione dell’obesità, evitando discriminazioni, pregiudizi e l’uso di un linguaggio stereotipato e stigmatizzante sulle persone che vivono con l'obesità.
Quest’anno il tema della giornata è Everybody needs to Act” (tutti devono agire).
L'obesità è una delle maggiori sfide per la salute pubblica a livello mondiale.
Alcuni dati
Secondo i dati dell'Organizzazione mondiale della sanità:
L'obesità colpisce 800 milioni di persone, incidendo sulla qualità della vita e aumentando la probabilità di comorbidità; inoltre raddoppia il rischio di ricovero in ospedale per Covid-19.
Il numero di persone obese nel mondo è triplicato a partire dal 1975.
Negli ultimi 40 anni, in molti Paesi, si è osservato un aumento della prevalenza di sovrappeso/obesità, sia nei bambini che negli adulti.
Nel 2019 erano 38 milioni i bambini di età inferiore ai 5 anni in eccesso ponderale
Nel 2016 erano in sovrappeso o obesi oltre 340 milioni di bambini e adolescenti di età compresa tra 5 e 19 anni.
Si stima che l'obesità infantile aumenti del 60% nel prossimo decennio, raggiungendo i 250 milioni entro il 2030.
Nel nostro Paese secondo i dati 2019 del Sistema di Sorveglianza OKkio alla salute
I bambini (età 8-9 anni) in sovrappeso sono il 20,4%, quelli obesi il 9,4%, compresi i bambini gravemente obesi che rappresentano il 2,4%.
Le bambine in sovrappeso e obese sono rispettivamente il 20,9% e l'8,8%, mentre i maschi sono il 20,0% e il 9,9%.
Nel corso degli anni la percentuale di bambini in sovrappeso è diminuita (da 23,4 % nel 2008-9 a 20,4% nel 2019) mentre l’obesità è rimasta sostanzialmente stabile in tutte le Regioni (9.3% nel 2016 e 9.4% nel 2019).
Sempre in Italia, nel 2018, secondo l'ultima rilevazione (quadriennale) dello studio HBSC (Health Behaviour in School-aged Children - Comportamenti collegati alla salute in ragazzi di età scolare) sui ragazzi di 11, 13 e 15 anni:
La percentuale di ragazzi in sovrappeso in tutte le fasce di età è stabile rispetto alla precedente rilevazione del 2014, (più evidente tra gli 11enni maschi dal 19% al 19,9% e nelle ragazze tredicenni dall’11,9% al 12,8%).
Si osserva un lieve trend in aumento dell’obesità, più evidente nei 13enni (dal 3,3% al 3,8% nei maschi e dall’1,3% all’1,6% nelle femmine).
I dati del sistema di sorveglianza PASSI nel periodo 2017-2020, relativi a peso e altezza, rilevano che:
il 42,4% di adulti di età 18-69 anni sono in eccesso ponderale: 31,6% in sovrappeso e 10,8% obesi.
Il problema
L’obesità è la risultante dell’interazione tra componenti comportamentali, sociali e metaboliche, alcune geneticamente determinate, altre riconducibili a fattori ambientali. Molti aspetti dell’ambiente in cui oggi vivono e lavorano le persone incoraggiano abitudini alimentari scorrette e/o una ridotta attività fisica che aumentano il rischio di obesità.
Nessun paese, fino ad oggi, ha invertito la sua epidemia di obesità, anche se si stanno registrando alcuni segnali di cambiamento positivo che derivano, principalmente, da un appiattimento della prevalenza dell’obesità dell'infanzia. Tuttavia, anche dove ci sono stati progressi, si segnala un aumento delle disuguaglianze nella prevalenza dell'obesità. I gruppi socialmente vulnerabili sono, infatti, più colpiti dall’obesità perché hanno meno accesso all’educazione e a corrette informazioni su stili di vita e salute e vivono, di solito, in zone che non facilitano il trasporto attivo e lo svago; molto spesso, inoltre, i cibi più economici hanno minore qualità nutrizionale ed elevata densità energetica.
Cosa fare
Una sana alimentazione associata a uno stile di vita attivo è un valido strumento per la prevenzione, la gestione e il trattamento di molte malattie. L’impatto dell’obesità e delle sue conseguenze in termini sociali giustifica la necessità di intraprendere interventi urgenti ed incisivi per contrastare la diffusione del fenomeno. Per agire efficacemente è necessario anche il coinvolgimento attivo di settori della società esterni al sistema sanitario, sia istituzionali che della società civile, così come raccomandato dall’Unione Europea (UE) e dall’OMS attraverso strategie e Piani d’azione, secondo un approccio intersettoriale.
Il Piano Nazionale di Prevenzione (PNP) 2020-2025 (adottato con intesa Stato - Regioni 6 agosto 2020) sottolinea che l’obesità incide profondamente sullo stato di salute, poiché si accompagna ad importanti malattie quali il diabete mellito, l’ipertensione arteriosa, la cardiopatia ischemica e altre condizioni morbose che in varia misura peggiorano la qualità di vita e ne riducono la durata e considera l’obesità infantile, in particolare, come una delle più importanti sfide per le conseguenze che comporta, quali rischio di diabete di tipo 2, asma, problemi muscolo-scheletrici, futuri problemi cardiovascolari, problemi psicologici e sociali.
Tutte le Regioni attraverso i propri Piani Regionali sono ora impegnate a perseguire obiettivi di promozione della salute e prevenzione dell’obesità e del sovrappeso.
Vista la necessità di rafforzare le azioni di prevenzione sinora intraprese, favorendone la connessione con il disegno strategico generale ed evitando interventi settoriali e frammentari, e di assicurare la precoce presa in carico dei soggetti in sovrappeso e/o obesi, è stato istituito un Tavolo di lavoro che sta lavorando alla definizione di un documento di indirizzo per la prevenzione e il contrasto del sovrappeso e dell’obesità, in particolare quella infantile, condiviso con le Regioni e Province Autonome, anche al fine di garantire una maggiore omogeneità di azioni a livello nazionale. www.salute.gov.it