12/03/2016 - "L'INFERMIERE" ON LINE - L'aggressività è un fenomeno molto diffuso nei contesti clinici: un comportamento assertivo nella pratica quotidiana potrebbe concorrere a ridurre gli eventi aggressivi, lo stress lavorativo e conseguentemente migliorare il livello di soddisfazione degli operatori
Quanto frequenti sono le reazioni aggressive è difficile dirlo. Le ragioni sono diverse: non c'è un'unica definizione di termini come aggressività, abuso e violenza, sono differenti le modalità di raccolta dei dati sugli eventi aggressivi, vi è una sottostima del fenomeno.
E' ampio, invece, l'accordo documentato in letteratura sull'effetto positivo dell'uso di strategie preventive di rilevazione dei segnali di aggressività e sugli outcome di situazioni pericolose. Gli operatori sanitari sono spesso esposti a fattori di rischio di conflitto: la maggior parte del personale è soggetta al almeno un episodio di violenza durante il proprio percorso lavorativo. Di fatto, la violenza in ambito sanitario si sta connotando come rischio occupazionale.
Una comunicazione ben strutturata integrata con tecniche assertive e con l'empatia sembra essere una efficace modalità di contenimento e gestione degli episodi di aggressività.
Un comportamento assertivo consente un confronto positivo con le persone nel rispetto della soggettività specifica. Così, l'operatore sanitario non si trova più da solo ad affrontare situazioni di sofferenza, stress che si sostanziano in difficoltà emotive, psicologiche e fisiche che se non ben pesate e gestite possono favorire la manifestazione di episodi aggressivi.
Ma quali tecniche assertive? Come si acquisiscono le capacità assertive e come si misura l'assertività? Trovare alcune alcune risposte è stato l'obiettivo del lavoro di analisi della letteratura di Busnelli, Spedale, Alberio, autori dell'articolo "Aggressività: la comunicazione assertiva può aiutare?" pubblicato su L'Infermiere online n 6 del 2015.
(Il testo integrale dell'articolo "Aggressività: la comunicazione assertiva può aiutare?" di Simone Busnelli, Valentina Spedale, Massimo Alberio è pubblicato nella sezione "Contributi" de L'Infermiere n.6)
12/03/2016 - Condanna all'ergastolo per "l'infermiera assassina" di Lugo di Romagna. Il Collegio OPI: "Siamo intristiti sentendo il binomio infermiera-assassina. Ci siamo costituiti parte civile e una volta ottenuto il risarcimento lo devolveremo ai tre centri antiviolenza della provincia"
Daniela Poggiali, 44 anni, soprannominata "infermiera assassina" è stata condannata all'ergastolo per l'omicidio di Rosa Calderoni, l'anziana paziente che la mattina dell'8 aprile del 2014 è morta all'ospedale di Lugo, dov'era ricoverata, a causa di un'iniezione letale di potassio. Dopo otto ore di camera di consiglio, i giudici hanno ritenuto colpevole la donna. La procura aveva chiesto la massima pena più l'isolamento diurno per un anno e mezzo, che è stato invece escluso, come l'aggravante dei motivi abbietti. Alla base della condanna invece ci sono la premeditazione e l'uso del mezzo venefici. Concessa una provvisionale da 150mila euro ai due figli della vittima.
"La condanna di Daniela Poggiali - ha commentato Milena Spadola, presidente del Collegio OPI di Ravenna, parlando a nome di tutto il Consiglio direttivo - chiude un doloroso capitolo, almeno per ora, con un atto di giustizia. Un atto di giustizia nei confronti dei parenti della vittima ed anche nei confronti degli infermieri, la cui immagine è stata infangata da questa vicenda; infermieri che svolgono la loro professione con dedizione e serietà, che in alcuni casi mettono addirittura a rischio la propria vita per aiutare i pazienti che ne hanno bisogno, e non compiono di certo atti che portano volontariamente alla soppressione della vita umana.
Chi svolge la nostra professione lo fa perché crede nella tutela della salute e della vita di chi soffre, e sente come sua prima responsabilità l'osservazione dei principi che il nostro Codice Deontologico dispone e in cui crediamo intimamente: assistere, curare e prendersi cura della persona in tutta la sua globalità e nel rispetto della vita, della salute, della libertà e dei diritti fondamentali dell'uomo e della sua dignità.
Tutto ciò si contrappone, con fermezza, a chi manifesta tutta la sua inaccettabile violenza nei confronti di chi è più fragile e vulnerabile, e che soprattutto non si può difendere.
Siamo intristiti sentendo il binomio infermiera-assassina!
Siamo vicini ai parenti della vittima, ai quali va tutta la nostra solidarietà, di persone e di infermieri.
E vorremmo che chiunque abbia seguito questi orribili fatti, non associasse al nome della condannata la nostra professione, ma potesse averne un'immagine, com'è nella realtà di tutti i giorni, sia in ospedale che nel territorio, di una professione d'aiuto che garantisce la miglior assistenza possibile al cittadino.
Il Collegio Infermieri professionali, Assistenti Sanitari e Vigilatrici d'Infanzia (OPI), doverosamente costituitosi parte civile nel processo, si è visto riconoscere la subita lesione alla propria immagine, ottenendo la condanna dell'iscritta al risarcimento del conseguente danno subito.
Questo Collegio, una volta ottenuto il risarcimento, devolvelverà detto risarcimento ai tre centri antiviolenza della nostra provincia: Associazione Linea Rosa (Ravenna) – Associazione Demetra donne in aiuto (Lugo) – SOS Donna (Faenza).
Un piccolo contributo sicuramente, ma utile per qualcosa che è vicino a noi, ai nostri valori e alla nostra coscienza professionale, che si concretizza nell'assistenza quotidiana alla persona, tra gratificazioni e sacrifici, ovvero la totale antitesi di ciò che purtroppo è accaduto nel caso in oggetto: una vicenda che non avremmo mai pensato potesse accadere e con la speranza che, in qualsiasi parte del mondo, non si verifichino mai più fatti analoghi".
Lo dice uno studio inglese, che conferma ricerche precedenti: quando il carico di lavoro degli infermieri aumenta in modo insostenibile, la mortalità dei pazienti subisce un'impennata.
L'aumento eccessivo del carico di lavoro per i professionisti sanitari dell'assistenza, è legato alla crescita della mortalità dei pazienti.