tratto da www.larepubblica.it
La facciata è quella di una “Casa vacanza”, spesso si qualificano così. Oppure di un piccolo albergo o pensione, mediamente un due-tre stelle. In realtà l’offerta promossa sottobanco è quella di una casa di riposo, con servizi tipici di una struttura per anziani in differenti condizioni di autosufficienza. Si promettono cure mediche e infermieristiche in caso di bisogno, garantendo la disponibilità di sanitari e infermieri disponibili a controlli e interventi periodici.
Un mese in questi “alberghi” che puntano ad attirare le famiglie in cerca di un’accoglienza sostenibile per i loro anziani può costare mediamente 1.600 euro, una cifra ben più abbordabile dei 2.700-3.000 che si spendono in una Rsa a media intensità. Per non parlare dei disagi e dei problemi organizzativi e burocratici di una gestione familiare con badanti, in molti casi almeno due nelle situazioni più complicate. Contributi da versare, turn over rapido.
La convenienza di una sistemazione “abusiva”, anche se probabilmente non ottimale o altamente professionale (ma ci sono anche casi in cui la clientela è soddisfatta), è evidente: una Rsa che offre un servizio di bassa intensità può costare circa 72 euro al giorno, mediamente 2.200 euro al mese; la tariffa di media intensità (sei minuti al giorno di assistenza infermieristica) sale a 84 euro e l’alta intensità a 94, per una retta mensile che può oscillare fra i 3.000 e i 3.500 euro.
Il fenomeno è in forte aumento, con nuove e più diffuse declinazioni sotto la generica etichetta di abusivismo: i problemi possono essere contratti anomali, personale sottopagato, autorizzazioni che mancano, eccesso di ospiti rispetto ai numeri consentiti. "Nessuna Rsa strutturata potrebbe avere quei costi - è la denuncia di Michele Assandri, presidente di Anaste Piemonte, l’associazione nazionale strutture territoriali e per la terza età - ovviamente si tratta di servizi di base, ma per molte famiglie che non hanno la convenzione per la quale la parte alberghiera la paga il Comune, è un risparmio notevole. E chi ha strutture magari vuote o semivuote per assenza di turisti ha fiutato l’affare”.
L'Ordine degli Infermieri: 'Tecnologie quasi assenti, violenze e lavoro sotto stress'
'Stress e condizioni inaccettabili'. Sono numerose le segnalazioni raccolte dall’Ordine delle Professioni Infermieristiche Interprovinciale Firenze-Pistoia in merito alle condizioni delle carceri presenti in zona. Le lamentele si riferiscono a condizioni di lavoro difficili per gli infermieri, con un elevato rischio di aggressioni da parte dei detenuti, ma anche con tecnologie quasi assenti, documentazione ancora cartacea e software datati, fa sapere l'Ordine.
"Ci segnalano che le attività sanitarie sono condizionate dalla disponibilità del personale di polizia penitenziaria e dalla sua organizzazione lavorativa – commenta il presidente dell’Ordine, David Nucci -. Un modo di procedere inaccettabile per la nostra categoria professionale".
A Firenze, Sollicciano fa da capofila per una situazione che secondo Opi Firenze-Pistoia sarebbe quanto prima da rimodulare. I numeri qui parlano di circa 500 detenuti, oltre 40 infermieri a lavoro, locali per attività sanitarie non sufficienti come dimensioni e spesso a uso promiscuo, fatiscenti e con infiltrazioni di acqua, climatizzazione carente (sia in estate che in inverno), montacarichi cronicamente difettosi, che comportano da parte degli infermieri il trasporto a braccia dei carrelli per la somministrazione della terapia. E poi, non ultima, la carenza di personale di polizia penitenziaria, che costringe quello sanitario a rimodulare gli assetti organizzativi in base alle disponibilità.
"Questo vuol dire che, per carenza o anche solo per disorganizzazione, i nostri infermieri in alcune occasioni non vengono accompagnati nelle attività, non avendo garantita la sicurezza - spiegano dall’Ordine - come ad esempio nella delicata fase di somministrazione della terapia. Una sommatoria di profondi disagi, perpetuati nel tempo e mai risolti contribuiscono a favorire sommosse e atti di violenza verso il personale; dall’inizio del 2023 ce ne vengono segnalati già una cinquantina, alcuni dei quali di estrema gravità. Inoltre, nelle infermerie si lavora anche con temperature elevate dovute al caldo, che non consentono neanche la giusta conservazione dei farmaci. Gli infermieri a lavoro nelle carceri hanno il diritto a condizioni di lavoro rispettose delle normative in materia (Decreto 81/2008); non possono operare costantemente sotto stress. Oggi invece sono spesso costretti ad abbandonate un setting lavorativo anche interessante e gratificante sotto alcuni aspetti per motivazioni di contesto".
Problematiche non troppo diverse al Gozzini, con 100 detenuti circa, 3 infermieri e nessun locale dedicato a spogliatoio del personale sanitario. Problemi di climatizzazione vengono riscontrati al Meucci, dove si trovano 10 detenuti minori e 3 infermieri.
Non va meglio nella casa circondariale di Pistoia, con circa 50 detenuti e 5 infermieri. "Chiediamo maggiore tutela dei diritti dei nostri professionisti a lavoro nelle carceri – sottolineano da Opi Firenze-Pistoia – perché non ci sono infermieri né pazienti di serie A e B: negli ospedali, come in altre strutture, occorre operare nelle condizioni di lavoro garantite dalla legge, a vantaggio non solo della propria qualità di vita, ma anche dei detenuti stessi e di tutta la collettività".
Oggi all’infermiere è richiesto un impegno sempre più orientato al supporto delle problematiche etiche nella giungla di percorsi organizzativi tesi a garantire i diritti delle persone dentro un sistema complesso e spesso frammentato, convulso e poco chiaro ai cittadini.
In quest’ottica, la legge n. 38 del 2010 in materia di accesso alle cure palliative e alla terapia del dolore ha individuato gli infermieri tra le figure professionali con specifiche competenze ed esperienza in quest’ambito.
Il Codice deontologico parla chiaro quando prescrive come ogni professionista “si attiva per prevenire e contrastare il dolore e alleviare la sofferenza. Si adopera affinché l’assistito riceva tutti i trattamenti necessari”, una regola per chi ogni giorno si coordina per aiutare i malati.
L’attenzione si focalizza sull’individuo piuttosto che sulla malattia, a dare vita ai giorni piuttosto che giorni alla vita, a garantire la sua autodeterminazione, ad accogliere la sua unica ed irrepetibile singolarità ed i suoi unici ed irrepetibili bisogni, per questo è indispensabile, dati anche i risultati sull’informazione che il paziente ha dei suoi diritti e delle sue possibilità di cura, che gli infermieri siano coinvolti in prima persona oltre che nell’assistenza anche nell’informazione e nell’educazione ai malati che soffrono e siano messi in grado di essere parte attiva nell’attivazione dei percorsi che la Legge prevede.
Dare appropriatezza al percorso assistenziale che l’infermiere compie di fronte a questi malati è non solo la manifestazione più evidente del suo dovere professionale, ma anche di quello morale e civico che ha deciso di fare proprio nel momento stesso in cui ha scelto la professione.
Gli infermieri chiedono, vista l’ancora scarsa conoscenza della legge e delle possibilità che offre con i centri antidolore e le cure palliative la legge 38, di mettere i professionisti infermieri in condizioni di esigere a tutela della popolazione il rispetto della norma.
La cultura del sollievo per gli infermieri è non solo una necessità per soddisfare i bisogni dei pazienti più fragili, ma un dovere morale. E far sì che essa si propaghi e venga compresa è un compito non solo meritorio dal punto di vista umano, ma professionalmente caratterizzante per chi, come noi infermieri, ha deciso di dedicare la propria vita al prendersi cura.
In questo senso le competenze distintive sono le caratteristiche intrinseche e salienti della professione rispetto alle cure palliative e il lavoro sulle core competence rappresenta un’importantissima guida per chi si occupa di questo settore.
La terapia del dolore è ormai inserita nei Livelli essenziali di assistenza, ma deve essere presente sia a livello domiciliare, sia come specializzazione e gli infermieri sono pronti a farsene carico.
La prospettiva infermieristica del lavoro in cure palliative si configura in alcuni punti essenziali:
- Il prendersi cura, che supera il concetto di trattamento e di intervento terapeutico. Ha come base di riferimento il farsi presenza attiva nel promuovere la qualità della vita del malato, cioè la percezione dell’individuo della propria posizione nella vita nel contesto dei sistemi culturali e dei valori di riferimento nei quali è inserito e in relazione ai propri obiettivi, aspettative, standard e interessi.
- La valorizzazione delle risorse della persona assistita e della famiglia oltre che del tessuto sociale in cui sono inseriti.
- Il lavoro in team multiprofessionali e non professionali (volontariato) coinvolti nel piano di cura.
- Il pieno rispetto dell’autonomia e dei valori della persona malata. Considerando che per esprimere la propria autonomia è necessario che la persona abbia a disposizione le informazioni sulla propria situazione e sulle prospettive di cura e di assistenza.
- La forte integrazione fra professionisti e il pieno inserimento dell’assistenza infermieristica nella rete dei servizi sanitari e sociali.
- L’intensità e la complessità delle cure che devono essere in grado di dare risposte pronte ed efficaci al mutare dei bisogni del malato e della sua famiglia.
- La continuità della cura fino all’ultimo istante.
- La qualità delle prestazioni erogate come concorrente alla qualità delle cure complessive.
- Il risultato deve essere quello di un professionista formato, evoluto, competente, ciò di cui ha bisogno il mutato quadro epidemiologico e, purtroppo, economico dell’assistenza sanitaria: rendere testimonianza e partecipare a scelte importanti per il paziente e i suoi cari è la naturale evoluzione della professione.