Teramo Ascoli, meno di 40 Km ma che alcune volte sembrano 400
Un’intervista diversa dal solito che meglio può farci comprendere le diverse strategie aziendali e Regionali.
Sappiamo qual’è la via da seguire come Ordine, l’abbiamo sostenuta, intrapresa, percorsa, ma ancora oggi persistono delle resistenze, almeno dal recente passato, speriamo in un illuminante futuro.
Non ne abbiamo mai fatto una questione politica o di scontro con le altre figure sanitarie ma di una normale evoluzione della nostra professione. Altre realtà sono già all’avanguardia con Ambulatori a totale gestione infermieristica, indipendenti, con standard elevati a cui conseguono vantaggi per tutti; utenti, aziende che impiegano i professionisti per farli rendere al massimo nelle loro competenze.
Oggi incontriamo Fabrizio Albertini responsabile dell’ambulatorio infermieristico di “gestioni impianti accessi venosi” dell’ospedale di Ascoli Piceno Area Vasta 5 ASUR Marche
Parlaci di te. Come hai scelto di fare l’infermiere?
E’ stata sempre una professione a cui ho pensato, questo perché avevo un paio di zii che facevano questo lavoro che mi ha sempre affascinato. Quando poi ho terminato il percorso delle scuole superiori ho cominciato con qualche lavoretto ma che però non mi soddisfaceva completamente. Decisi dunque di cominciare un percorso in qualcosa che realmente mi affascinava e fu così che decisi di iscrivermi a quella che era la scuola regionale per infermieri professionale (mai scelta fu più azzeccata).
Quale è stato il tuo percorso formativo e lavorativo?
Una volta concluso il percorso formativo, ho cercato da subito di aggiornarmi attraverso corsi, chiamati corsi di alta formazione. Il mio primo “reparto“ è stato il servizio domiciliare che venne istaurato nel 1995 ad Ascoli ed io venni chiamato direttamente dalla responsabile Dott.ssa Picciotti in quanto questo progetto prevedeva l’integrazione di persone provenienti dai “lavori socialmente utili” di cui io facevo parte. Grazie a questa opportunità venni direttamente coinvolto nella costruzione del servizio domiciliare dove sono stato quattro anni.
Ho svolto diversi concorsi in giro per l’Italia ma dato che ero impegnato nella mia città in un progetto che mi piaceva sono rimasto qui dove successivamente si costituì una cooperativa in cui sono rimasto sino alla vincita del concorso pubblico ad Ascoli. Il mio primo impiego fu ad Amandola in Medicina dove in alcuni casi quando c’era l’uscita del 118 io da più giovane rimpiazzavo il collega che era uscito per l’emergenza, oggi queste cose fanno sorridere ma allora era così. Successivamente ritorno ad Ascoli e dopo qualche tempo vengo scelto per far parte di un reparto chiamato “ alta assistenza medica” diciamo una stroke unit di quei tempi ma con l’avvento dell’aera vasta la stroke unit fu destinata a S.Benedetto e la nostra unità divenne l’ematologia.
Negli anni tra il 2009 -11 grazie al mio Direttore di Unità Operativa ed alla mia Coordinatrice nel corso di alcuni incontri Gitmo (Gruppo Italiano per il Trapianto di Midollo Osseo, cellule staminali emopoietiche e terapia cellulare) iniziamo ad approcciarci all’idea del PICC (peripherally inserted central catheter) che poi si concretizza con un corso al Gemelli. Da qui l’avventura che oggi ci ha portato ad impiantare centinaia di Picc ogni anno.
All’inizio a far parte di questo progetto eravamo in quattro le prive difficoltà hanno fatto desistere due tra cui un medico e ci siamo ritrovati in due a portare avanti tutto.
Far partire il tutto a pieno regime ha significato non solo credere in quello che si fa ma farci credere anche gli altri e questo non può che passare attraverso l’informazione e l’istruzione, spiegando di cosa si sta parlando come deve essere gestita la cosa, tracciando una sorta di linea guida in modo da unificare i comportamenti di gestione.
Solo in questo modo potevano emergere tutte le potenzialità del PICC evidenziando le modalità di gestione errata e tracciando quelli da mettere in pratica.
Ha significato fare sacrifici personali rimanendo oltre l’orario di lavoro, combattere lo scetticismo di coordinatori, colleghi infermieri, medici. Far capire che gestendo al meglio il picc i vantaggi sarebbero stati per tutti non è stato facile.
Ma come si è arrivati ad un ambulatorio a totale gestione infermieristica?
All’inizio gli impianti venivano eseguiti nel reparto di ematologia e si eseguivano una volta a settimana ma subito mi resi conto che non era sufficiente per garantire un servizio minimo essenziale, per questo decisi di proporre gli impianti due volte non evitando critiche , disagi ed un impegno sempre più gravoso. Il trend degli impianti dai 60 annuali del primo anno con un solo giorno a settimana in cui si impiantava sono passati a 280 nel terzo anno con due giorni a settimana in cui si impiantava, con i numeri sono aumentate anche i carichi di lavoro di istruzione al personale nei vari reparti con risultati sempre più positivi e con una consapevolezza di colleghi sempre più ampia.
Con 280 impianti annuali ho avuto la possibilità di richiedere alla mia azienda un ambulatorio dedicato, grazie alla loro disponibilità, non solo è stato attivato questo ambulatorio a totale gestione infermieristica ma sono riuscito a far inserire anche il terzo giorno a settimana in cui si eseguivano gli impianti.
Inoltre dopo aver conseguito un master in accessi vascolari lo stesso ambulatorio ha cominciato anche a fornire consulenze per i diversi reparti non solo per l’impiantistica e gestione picc ma per tutti i tipi di accesi vascolari.
Consulenza che scrivo direttamente nella cartella medica.
Nel 2014/15 amministrativamente veniamo distaccati dall’ematologia da cui dipendevamo e l’azienda si organizza per concederci una “determina”per formare una picc-team per i presidi ospedalieri di S.Benedetto ed Ascoli con un centro di costo autonomo e cosa importante riesco ad uscire dalla turnistica (sino a questo periodo ho continuato ad essere in turno) per dedicarmi totalmente all’ambulatorio.
Nell’ultimo anno siamo riusciti ad impiantare 714 picc in una struttura ospedaliera con 200 posti letto.
Da 60 a 714 complimeti!
Grazie, si un trend in continuo aumento, frutto di un percorso duro in cui la formazione per colleghi ma anche per medici, che io svolgo, è stato fondamentale, creando una mentalità che ha convolto tutti e con vantaggi che sono per tutti.
La formazione è fondamentale tanto che è andata anche oltre l’ospedale ed oggi mi trovo anche ad istruire personale che si occupa di assistenza sul territorio.
In generale hai percepito un cambiamento della nostra professione rispetto al passato?
Sicuramente ma questo è nei fatti, è cambiato il nostro percorso formativo, le nostre responsabilità le nostre competenze ed oggi anche l’utenza comincia a percepirlo.
Quello che deve cambiare a mio modo di vedere è l’approccio alla professione ed alla complessità della stessa, ovvero un approccio legato allo studio alla formazione l’unico modo in cui si può e si deve fare la differenza.
Non faccio discriminazione sull’età in cui questo possa avvenire, non faccio una distinzione fra colleghi giovani e non ma tra chi vuole farlo e chi non vuole.
Altra cosa che dovrebbe cambiare è la dotazione tecnologica che dovrebbe esserci fornita, non si può lavorare in alcuni ambiti con tecniche e materiali ormai datati, le aziende devono avere il coraggio di fornire adeguati strumenti tecnologici.
Come e dove oggi ti occupi di formazione e di insegnamento?
Oltre formare il personale della mia azienda agli accessi vascolari, sono circa sei anni che ho un modulo di insegnamento al master di accessi vascolari della sapienza, all’ Università Politecnica delle Marche infermieristica territoriale. Collaboro con diversi ordini professionali per giornate formative sugli accessi vascolari.
Ho avuto il piacere di relazionare due volte al picc day, al congresso nazionale SIEC ed altri congressi ecografici alcune pubblicazioni e referente scientifico per SIEMC IVASS.
Complimenti e grazie per la tua disponibilità