Marisa Cantarelli viene definita come la prima teorica italiana dell’assistenza infermieristica ed è una personalità di spicco all’interno del mondo accademico infermieristico. È stata la prima in Italia a spostare il focus dell’assistenza dai compiti da assolvere alla persona da assistere, personalizzando in questo modo l’assistenza e apportando un contributo fondamentale per l’abolizione del mansionario.
Marisa Cantarelli nasce a Milano e, nel 1950, diventa infermiera, conseguendo inoltre nel 1953 il diploma di assistente sanitario.
La sua attività professionale si svolge inizialmente a Roma presso l’Ospedale San Camillo, proseguendo poi presso il Preventorio Vigilato della CRI di Pozzuoli e presso il Consorzio Provinciale Antitubercolare di Milano.
Nel 1969 apre e dirige fino al 1975 la Scuola per Infermieri Professionali dell’Ospedale G. Fornaroli di Magenta.
Negli anni successivi, dal 1975 e fino 1999, ricopre la carica di Vicedirettrice della Scuola Universitaria di Discipline Infermieristiche dell’Università degli Studi di Milano, dove svolge anche attività di Professore a contratto, mantenendo dal 1983 la qualifica dirigenziale nei ruoli della Regione Lombardia.
La nascita del modello assistenziale da lei formulato origina sin dai primi anni di lavoro, dove si sentiva a disagio in quanto l’organizzazione e tutto ciò che la circondava la obbligava a lavorare in modo predefinito, rendendo difficile la creazione e il mantenimento di un rapporto autentico con la persona assistita. Questo in quanto l’organizzazione prevedeva di lavorare moltissimo e ciascun professionista aveva dei ruoli specifici: il lavoro era impostato sul compito e mai sull’assistenza alla persona. I ritmi del reparto, inoltre, non seguivano i bisogni delle persone, ma esclusivamente le esigenze organizzative.
Col passare del tempo e con i primi incarichi presso le allora Scuole per infermieri, Marisa Cantarelli si è concentrata su alcuni obiettivi fondamentali per cercare di cambiare gli allora modelli assistenziali: puntare su un’assistenza alla persona, personalizzando l’assistenza e far sì che gli infermieri si rendessero conto del loro ruolo e delle loro competenze.
Per far ciò, conduce numerose ricerche che perseguivano lo scopo di rilevare la competenza infermieristica e di definire la responsabilità dell’infermiere. Per uscire da modelli infermieristici che non avevano nulla a che vedere con la personalizzazione dell’assistenza, il primo passo è stato quello di eliminare il mansionario, costruendo contemporaneamente un’alternativa.
In questo modo l’infermiere si è trasformato in un professionista con una competenza sua specifica; questa competenza doveva essere ben chiarita e supportata da indicazioni di comportamento preciso in quanto non poteva essere disgiunta dall’aspetto deontologico. In sostanza, analizzando l’elenco delle attività infermieristiche, gli infermieri non dovevano cambiare il “cosa fare”, ma il “modo di fare”.
Per arrivare dunque ad una responsabilizzazione dell’infermiere si è proceduto a sistematizzare tutto ciò che stava facendo in risposta ai bisogni di assistenza infermieristica, individuando in questo modo undici bisogni infermieristici e, nel tempo, portando a un mutamento delle norme che regolavano rigidamente l’attività infermieristica.
È stato in questo modo che si è arrivati all’annullamento del mansionario e alla nascita di un profilo professionale, il quale ha sancito chiaramente che l’infermiere è quel professionista che risponde ai bisogni di assistenza infermieristica e non più a un elenco di cose da fare.
Inoltre, con l’attività di ricerca è stato evidenziato come nove risposte agli undici bisogni siano di totale responsabilità dell’infermiere, che dunque è un professionista che possiede uno spazio ben preciso, non è delegato da altri e sa leggere i bisogni per poter rispondere ed erogare prestazioni infermieristiche. Rispetto ai due bisogni rimanenti, si è visto come questi fossero risultati di corresponsabilità con la figura medica, ovvero non delegati direttamente da questa figura, ma derivanti dall’opera di due professionisti che intervengono in due momenti diversi per una stessa prestazione con responsabilità specifiche.
Ora che la formazione infermieristica avviene in Università - secondo Cantarelli - il rischio è quello che l’inserimento nella Facoltà di Medicina sposti la formazione nell’ottica medica formando più medici di secondo livello rispetto a infermieri con una chiara identità. È necessario dunque un approfondimento della disciplina, il quale è fondamentale per ottenere un numero maggiore di cattedre, avendo in questo modo più spazi nei ruoli universitari.