A questo punto, non mi resta che sedermi accanto a lei e chiederle: “Cos’è che ti fa tanto soffrire? Io ti ascolto e farò il possibile per aiutarti”. È l’incantesimo della parola. Andreina si calma improvvisamente e risponde con voce flebile: “Vorrei scendere dal letto, sono abituata a muovermi, non ce la faccio più”. Succede qualcosa tra di noi, sento che c’è intesa. Io abbasso le sponde e le porgo le braccia per aiutarla a sollevarsi, lei fa il cenno di baciarmi le mani, coperte dai guanti. Che sia questa la relazione di Cura? Penso dentro di me. Tutto diventa semplice: bastano pochi sguardi di complicità ed ecco che Andreina recupera la capacità di stare seduta sul letto.
Lo stralcio di questa narrazione, ricavata da una delle Storie Slow pubblicate settimanalmente sul sito internet di Slow Medicine, ci ricorda che l’essere in relazione costituisce un fondamento ontologico per le professioni di cura; la relazione, infatti, precede e accompagna la cura; senza relazione la cura non è caring, ma curing, ovvero trattamento, tecnica (Manara, 2012). Anche Benner (1984) afferma quanto la relazione sia il motore fondante per la cura e la guarigione: “non si capisce bene perché tanto spesso, per spiegare una guarigione, si sia dato un credito immeritato ai fattori tecnologici, mentre la causa reale aveva a che fare molto di più con una relazione terapeutica”.
La relazione di cura è dunque dimensione costitutiva dell’essere e si situa in un tempo e in uno spazio. Significativo, a tal proposito, è il ritrovare nel Codice Deontologico delle Professioni Infermieristiche, espliciti riferimenti al fatto che il tempo della relazione è tempo di cura (FNOPI, 2019).
‘Il tempo guarirà tutto. Ma che succede se il tempo stesso è una malattia?’. Così citava Wim Wenders nel suo film “Il cielo sopra Berlino”, che nulla apparentemente ha a che fare con la presente riflessione, ma che aiuta a fornire un quadro di lettura di una variabile importante che influenza la relazione di cura: il tempo.
Il tempo è cura quando è attenzione, ascolto, riflessione sull’agire; quando invece viene rincorso e riempito da attività che si susseguono freneticamente senza lasciare spazio alla consapevolezza del senso di quel tempo speso e al pensiero che lo accompagna, diventa malattia.
Oggi il tempo della cura rischia di ammalarsi, e se ne ha particolare riscontro in questo periodo storico caratterizzato dalla velocità del fare, da una mission dei luoghi tradizionali di cura (in primis l’ospedale) fortemente influenzata da una dimensione temporale ‘fast’, nella quale la misura del tempo è legata a parametri oggettivi e prestazionali.
Viviamo un’epoca frenetica, corriamo sempre, corriamo tutti, dimenticando spesso la domanda principale che dovremmo porci: “per andare dove?” Così Giulio mi ha insegnato quanto preziosi erano stati qui venti minuti che avevo dedicato a pensare prima di fare, ad andare oltre la superficie di una frettolosa raccolta del consenso e dell’anamnesi. Quel tempo non sono non era stato perso, ma era stato impiegato! Meglio.
(Il tempo di relazione è tempo di cura)
IL TEMPO ETERNO, MISURATO, PROPIZIO
Diviene importante dunque riflettere sul senso del tempo di cura, anzitutto comprendendo le diverse connotazioni di significato che il tempo assume.
Le prime riflessioni su questo aspetto della vita giungono da Eraclito, uno tra i maggiori pensatori presocratici, il quale sosteneva che il tempo fosse rappresentato da tre figure: l’Aiòn, Chronos e Kairòs. Secondo Eraclito l’Aiòn rappresenta il tempo eterno, il tempo della vita dei mortali, nonché la durata, l’estensione e la misura della vita stessa. Il Chronos invece è il tempo misurato ed oggettivo percepito come successione di istanti, ore e giorni che scorre, rovina, distrugge e divora l’esistenza dell’uomo. Il terzo elemento di questa tripartizione è rappresentato dal Kairòs cioè l’opportunità, il momento propizio. Per Kairòs Eraclito intende quell’istante in cui si apre una porta nella vita dell’uomo, che però deve avere il coraggio e la forza di attraversarla (Zaccaria Riggiu, 2006).
Tra gli eventi che possono far mutare l’esperienza di tempo, la malattia è certamente uno di quelli che maggiormente porta a riflettere sul significato e sul valore dello stesso. Essa, infatti, rappresenta non tanto un istante isolato lungo la linea del tempo vissuto ma un cambiamento che prende parte alla narrazione della vita di ognuno e che deve essere considerato in opposizione agli orizzonti di passato e futuro (Giuliani et. al., 2015).
Il tempo della malattia è per eccellenza il tempo enigmatico della sfida: il tempo in cui la vita sembra tradire le sue promesse e le nostre attese, in cui la fiducia originaria nella bontà dell’esistenza è altrettanto facilmente rimessa in dubbio. È il tempo della crisi, in cui si sperimenta di essersi sbagliati, traditi dal proprio corpo e dalla vita stessa. Il tempo della malattia coincide anche con il tempo della cura, ed è dunque un tempo essenzialmente condiviso (Biancu, 2014)