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Ciak, si cura: il lato umano della pandemia svelato dal film “Io resto”.

Visto da Noi
23 Ott 2021
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restoSi intitola Io resto ed è un film documentario sulla vita in corsia durante il primo picco pandemico agli Spedali Civili di Brescia. La vita quotidiana degli operatori sanitari, ma anche quella dei malati, tutti uniti nella comune battaglia contro un nemico chiamato coronavirus. Vite in costante pericolo, per le quali si è lottato e si continua a lottare con la forza del calore umano, oltre che con le armi fornite dalla scienza.

Lanciata al cinema Nuovo Eden di Brescia lo scorso 16 settembre, l’opera è disponibile per proiezioni al cinema, in sale conferenze e corsi universitari. Intanto, dopo l’anteprima mondiale al festival Visions du Réel 2021, in Svizzera, ha già collezionato i primi riconoscimenti, vincendo il Biografilm Italia e il premio come miglior documentario all’Ortigia Film Festival. Senza dimenticare i consensi ricevuti al MantovaFilmFest, al PerSo Film Festival di Perugia, al ValdarnoCinema Fil Festival di Arezzo, al Documentaria di Palermo.

Di Io resto abbiamo parlato col suo giovane regista, il veronese Michele Aiello. Partendo proprio dalla scelta del titolo. «“Io resto” è l’ideale giuramento di chi non si è sottratto al proprio dovere durante la fase critica della pandemia. È come dire: “Io non mollo, non scappo. Qualunque cosa accada, continuo a lavorare”».

Ma il film non svela solo il punto di vista del personale sanitario. Anche i pazienti hanno fornito un importante contributo: «All’inizio non sapevo come coinvolgerli. Temevo che la presenza della telecamera li infastidisse. Finché una donna non ha pronunciato le parole fatidiche, poi ripetute da altri pazienti: “Io resto”. Nel loro caso quelle parole indicavano la volontà di restare vivi, di aggrapparsi alla vita. E a quella vita mi hanno dato accesso, permettendomi di inserire nel film alcune delle loro storie personali e di raccontare il lato umano del rapporto con gli operatori sanitari».

L’obiettivo del regista è dunque chiaro: approfondire il tema dell’empatia venutasi a creare tra pazienti e medici/infermieri, rifuggendo l’apologia dell’operatore eroe, proposta a più riprese dai media. «Volevo lasciare una traccia visiva che andasse oltre la tragedia raccontata dai giornalisti – conferma Aiello –. Anziché insistere sul concetto di “eroe” o di “angelo”, ho preferito parlare di persone normali nella loro quotidianità. Persone come i medici e gli infermieri, rimasti in “trincea” non per eroismo, ma perché è il loro lavoro. Insomma, ho cercato di raccontare le emozioni che si alternavano in corsia, indagando la complessità del rapporto di fiducia che si instaura tra chi soffre e chi cura».

La scelta dell’ospedale da utilizzare come set per le riprese, nel marzo del 2020, è caduta su quello di Brescia. Perché? «Dovevo scegliere un ospedale della Lombardia perché è lì che il Covid, durante la prima ondata, ha colpito più duro. Ho lasciato perdere Lodi e Cremona, già piene di telecamere televisive, e ho puntato su Brescia, che soffriva almeno quanto Bergamo, ma quasi nessuno se ne occupava. Lì ho trovato massima disponibilità da parte della direzione, che mi ha permesso di lavorare agli Spedali Civili per un mese, nonostante un accordo iniziale per due settimane».

Michele ha dedicato il film a sua madre Silvia, pediatra infaticabile e generosa. «Come dottore – spiega –, lei è sempre stata molto attenta al rapporto umano col paziente. Inevitabile, quindi, che per me rappresentasse una sorta di guida spirituale durante le riprese. La sua etica del lavoro l’ho ritrovata in tanti medici e infermieri conosciuti a Brescia».

La nostra chiusura, invece, è dedicata alla stretta attualità. Cosa ne pensa Aiello, anche alla luce della sua esperienza bresciana, di chi rifiuta il vaccino anti-Covid? «Non prendo posizione nel dibattito tra sostenitori del vaccino e no vax. Posso solo dire che osservare da vicino la sofferenza causata dal Covid è un’esperienza molto forte. Personalmente, finché non è arrivato il vaccino, ho avuto tanta paura di contrarre il virus e di portarlo a casa mia, tra le persone più care. Spero che “Io resto” possa contribuire alla diffusione di una maggiore consapevolezza del pericolo a cui tutti noi siamo esposti».

NOTE SUL REGISTA...

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