14/03/2017 - Indagine dell'Osservatorio per il monitoraggio della terapia del dolore e Cure palliative della Fondazione nazionale Gigi Ghirotti Onlus: solo un italiano su tre conosce la legge 38/2010. Grande assente la rete delle cure palliative
“La cultura del sollievo è non solo una necessità per soddisfare i bisogni dei pazienti più fragili, ma un dovere morale per gli infermieri. E fare si che essa si propaghi e venga compresa è un compito non solo meritorio dal punto di vista umano, ma professionalmente caratterizzante per chi, come gli infermieri, ha deciso di dedicare la sua vita al prendersi cura”.
Barbara Mangiacavalli, presidente della Federazione nazionale OPI, interviene sui risultati dell’indagine elaborata dall’Osservatorio per il monitoraggio della terapia del dolore e Cure palliative della Fondazione nazionale Gigi Ghirotti Onlus in collaborazione con la Fondazione Isal che ha messo in evidenza la scarsissima conoscenza da parte dei cittadini della legge 38/2010 sul dolore e per questo l’ancora più scarso utilizzo delle potenzialità e delle possibilità che essa offre contro il dolore.
Dallo studio presentato oggi, emerge infatti che pochi consocono la legge - solo un italiano su tre - e le possibilità che offre con i centri antodolore e le cure palliative e l’informazione non arriva dai medici di famiglia (a cui si è rivolto il 64% dei pazienti) che difronte al dolore prescrivono farmaci, ma non consigliano quasi mai (solo il 35% lo fa) il ricorso ai Centri di terapia.
L’età media degli intervistati è anziana: 66 anni e il loro titolo di studio è nel 61% dei casi di scuola primaria o al massimo secondaria di primo grado. Una fascia di popolazione fragile, quindi, che trova assistenza per lo più (oltre l’80%) in ospedale.
Eppure, chi ha usufruito di un centro o ambulatorio per la terapia del dolore giudica l’assistenza nell’80% dei casi soddisfacente e il 74% dei pazienti che li hanno utilizzati consiglierebbe ad altri il centro.
Stessa situazione per la rete delle Cure palliative: il 69% di chi l’ha utilizzata è soddisfatto dell’assistenza domiciliare ricevuta; il 78% di quella avuta negli hospice (VEDI I RISULTATI DELLO STUDIO).
“Regioni e ministero della Salute - ha detto il coordinatore degli assessori alla Salute Antonio Saitta alla presentazione dello studio - hanno un compito comune da affrontare soprattutto in materia di informazione e comunicazione. Ritengo che, d'intesa con i ministeri della Salute e degli Affari regionali, si possa lavorare su linee di indirizzo da destinare alle aziende sanitarie ed ospedaliere che agevolino i comportamenti virtuosi nella lotta al dolore e una diffusione delle cure palliative sul territorio, agenda anche su standard prestazionali che ne facilitino l'erogazione in modo omogeneo in tutto ii Paese. E mi auguro che per ii prossimo anno ci si possa incontrare avendo di fronte un dato più incoraggiante, almeno con più del 50% degli italiani ad avere consapevolezza delle opportunità della legge 38"
“Abbiamo inserito la terapia del dolore nei Lea – ha ricordato il ministro della Salute Beatrice Lorenzin - sia a livello domiciliare, sia come specializzazione. Abbiamo reso obbligatoria la terapia in ricovero. Abbiamo migliorato in modo tangibile l’accesso agli oppiacei. Ma la sanità è ancora a macchia di leopardo: in alcuni luoghi si assiste a un servizio avanzato ed efficiente, in altri si fa un grande sforzo, ma le strutture non sono ancora adeguate a pazienti che si trovano ad affrontare il dolore, soprattutto nell’ultima parte della loro vita”.
Lorenzin ha definito “indescrivibile” il lavoro del personale, “medici e infermieri che hanno dimostrato e dimostrano ogni giorno – ha detto – una fortissima componente oltre che professionale, umana e psicologica, soprattutto negli hospice e per quanto riguarda la capacità della loro formazione”.
Ma ci sono due lacune secondo il ministro. La prima è ancora una volta la disomogeneità dell’applicazione delle line guida e delle best practice: “Serve omogeneità”, ha detto con forza Lorenzin. La seconda sono le reti oncologiche. “La loro realizzazione ha come presupposto la necessità di seguire il paziente in tutte le fasi della malattia, senza lasciarlo mai solo: questo avviene però solo in 6-7 Regioni e non basta. Manca l’attuazione reale della rete – ha aggiunto- e così non va affatto bene.”
Lorenzin ha concluso sottolineando che si sta lavorando “molto bene sulle nuove terapie, ma mancano ancora quegli aspetti di umanizzazione che dovranno fare I conti anche con una società che invecchia con più patologie degenerative e maggiore necessità di terapia del dolore. Dove tutto questo c’è – ha concluso – è un’esperienza bellissima vedere ad esempio hospice che sono ‘vere case’ per tante tipologie diverse di malati e scoprire la tenerezza di ci lavora”.
“Il nostro codice deontologico in vigore, ma anche il nuovo in via di definizione che lo sostituirà – commenta ancora Mangiacavalli - parla chiaro quando prescrive come ogni nostro professionista “si attiva per prevenire e contrastare il dolore e alleviare la sofferenza. Si adopera affinché l’assistito riceva tutti i trattamenti necessari”, una regola per chi ogni giorno si coordina per aiutare i malati”.
“Non c’è momento più forte nell’assistenza ai malati di quello delle cure palliative, in cui gli infermieri mettono in campo oltre le loro competenze cliniche la capacità di caring, di prendersi cura e non solo del paziente, ma di tutta la sua famiglia che con lui vive questi momenti drammatici, di prendersi cura della persona nella sua globalità (anche sociale) e autonomia. L’attenzione si focalizza sull’individuo piuttosto che sulla malattia, per privilegiare la qualità della vita che resta da vivere”.
Secondo Mangiacavalli “per questo è essenziale e propedeutico alla professione stessa, che gli infermieri imparino a riconoscere oltre a quelli clinici, anche i bisogni assistenziali ed emotivi dei pazienti e delle loro famiglie, sappiano affrontare il dolore e sappiano gestire il prima, il durante, ma anche il “dopo”, rispetto a problematiche diverse da quelle dell’assistenza in acuzie e in post-acuzie. E per questo è indispensabile, dati anche i risultati sull’informazione che il paziente ha dei suoi diritti e delle sue possibilità di cura, che gli infermieri siano coinvolti in prima persona oltre che nell’assistenza anche nell’informazione e nell’educazione ai malati che soffrono”.
“Le cure palliative – sottolinea la presidente OPI - rappresentano dal punto di vista professionale anche un modello di implementazione delle competenze infermieristiche, come esempio per articolare i futuri percorsi di carriera e un modello per il mondo sanitario: dare appropriatezza al percorso assistenziale che l’infermiere compie di fronte a questi malati è non solo la manifestazione più evidente del suo dovere professionale, ma anche di quello morale che ha deciso di fare proprio nel momento stesso in cui ha scelto la professione”.
“Noi infermieri – conclude - sappiamo ascoltare i pazienti, li sappiamo capire e li aiutiamo oltre che dal punto di vista clinico anche da quello psicologico che in momenti di grave criticità rappresenta una componete essenziale dell’assistenza. E siamo, vogliamo e chiediamo di essere coinvolti in questa attività come l’espressione del necessario, anzi direi ormai indispensabile, insostituibile e ineludibile lavoro in team, priorità per ogni professionista dedicato ad affrontare accanto ai pazienti il loro dolore, con l’unico obiettivo da raggiungere ben identificato nel benessere del malato che va anche al di là del momento dell’acuzie e dell’emergenza”.
Stampa