Dal primo focolaio scoppiato nel dicembre 2019 a Wuhan, Cina, il SARS-CoV-2 si è rapidamente diffuso in tutti i paesi del mondo, costringendo l’OMS a dichiarare lo stato di pandemia globale a causa dell’alto grado di contagiosità del virus e della sua potenziale letalità (Zhou, et al., 2020). Sebbene il virus continui a rappresentare una minaccia per la salute dei cittadini di tutto il mondo, sono stati fatti molti progressi nello studio delle modalità di trasmissione, sui possibili trattamenti del COVID-19, sulle misure di prevenzione ed i comportamenti da attuare per ridurne la diffusione e sui fattori di rischio (Pini, et al., 2020). In particolar modo riguardo questi ultimi, sono stati condotti diversi studi circa la possibilità che il sistema AB0, quindi l’appartenenza ad un gruppo sanguigno rispetto ad un altro, costituisca un elemento da tenere in considerazione quando si parla sia di suscettibilità al SARS-CoV-2 sia di morbilità e mortalità correlate alla COVID-19 (Mendy, et al., 2020).
Questo articolo si propone di approfondire la correlazione tra gruppo sanguigno ed esposizione alla COVID-19 attraverso una revisione della letteratura, in modo da fornire un quadro quanto più completo possibile sui risultati emersi a livello internazionale.
Attraverso la consultazione delle banche dati Pubmed, Cochrane Library e ILISI, sono stati identificati 44 articoli potenzialmente eleggibili.
Sono stati definiti i seguenti criteri di inclusione: anno di pubblicazione (2020; 2021), pertinenza con l’argomento (esposizione dei gruppi sanguigni al SARS-CoV-2, progressione della COVID-19 in relazione al gruppo sanguigno di appartenenza) e campione di riferimento (pazienti affetti da COVID-19, pazienti con gruppo sanguigno noto, popolazione adulta).
Di tutti gli articoli rintracciati 33 sono risultati conformi ai criteri di inclusione prefissati.
Sebbene non siano stati posti limiti al riguardo, tutti gli articoli sono redatti in lingua inglese (ad eccezione di un rapporto dell’Istituto Superiore di Sanità redatto in lingua italiana).
Gli studi presi in esame sono stati condotti principalmente in Cina, America del Nord ed Europa. La ricerca degli articoli è stata svolta nel periodo compreso tra novembre 2020 e febbraio 2021.
La maggior parte degli articoli analizzati sostengono la tesi secondo cui il gruppo sanguigno possa essere annoverato tra i fattori di rischio al pari di età, genere, stile di vita e patologie pregresse (Li e Yamamoto, et al., 2020). In particolare i gruppi sanguigni A ed AB sarebbero maggiormente a rischio di infezione (Amoroso, et al., 2021), e la responsabilità di ciò sarebbe da attribuire all’antigene A, che faciliterebbe l’interazione della glicoproteina S del SARS-CoV-2 con l’enzima 2 convertitore dell’angiotensina (ACE2), principale recettore del virus da cui avverrebbe il processo di infezione delle cellule (Yang, et al., 2020). Al contrario il gruppo 0 risulterebbe il gruppo sanguigno con il minor rischio di infezione, essendo sprovvisto dell’antigene A ma munito di anticorpi anti-A, che inibirebbero l’interazione del virus con ACE2 (Zhao, 2020) e, a tal proposito viene sottolineato che sebbene anche i gruppi sanguigni B abbiano la medesima caratteristica, gli anticorpi anti-A presenti nei suddetti gruppi sanguigni appartenendo alle classi IgG per gli anticorpi del gruppo 0 e IgM per quelli del gruppo B, avrebbero una differente efficacia nel processo di inibizione (Franchini, et al., 2021).
Inoltre uno studio genomico svolto su un particolare cluster genetico (3p21.31), confermerebbe il coinvolgimento del sistema AB0 nel determinare l’esposizione di alcuni individui rispetto ad altri alle complicanze della COVID-19 (Ellinghaus, et al. 2020), con il gruppo A associato ad un maggior rischio di esposizione rispetto ai gruppi non A.
Nonostante buona parte degli articoli siano concordi nell’affermare che il gruppo sanguigno debba essere annoverato tra i fattori di rischio di esposizione al SARS-CoV-2, tale teoria non è del tutto esente da critiche.
Sono stati infatti eseguiti alcuni studi atti a smentire che l’appartenenza ad un gruppo sanguigno rispetto ad un altro sia elemento rilevante al fine di stabilire se un individuo sia esposto ad un maggior rischio di contrarre la COVID-19 (Flegel, 2020), non essendo tale ipotesi dimostrata con incontrovertibile certezza, muovendo obiezioni principalmente alla metodologia con cui sono stati condotti gli studi, alla quantità ed alla qualità dei dati raccolti, con campioni di riferimento e intervalli di tempo troppo ristretti per poter essere considerati sufficienti, nonché setting epidemiologici delineati in maniera troppo generica.
A parità di campione di riferimento e metodo di indagine, i dati raccolti non conducono agli stessi risultati degli studi che sostengono l’influenza del sistema AB0 sulla suscettibilità degli individui al SARS-CoV-2, incongruenza che di fatto smentirebbe la suddetta teoria (Boudin, et al., 2020).
Vengono inoltre sollevati dubbi di carattere morale sul sostenere la tesi che annovera il gruppo sanguigno tra i fattori di rischio, in quanto ciò spingerebbe gli individui appartenenti a gruppi sanguigni considerati meno a rischio ad attuare condotte poco responsabili, come il non indossare correttamente i presidi di protezione e non rispettare le norme di distanziamento sociale, o ancora i datori di lavoro potrebbero incoraggiare o forzare un rientro anticipato dall’isolamento preventivo dei dipendenti in possesso di “geni protettivi” (Klitzman, 2020).
Attraverso la revisione della letteratura sono state portate alla luce due posizionI diametralmente opposte ed entrambe potenzialmente valide.
La prima, supportata da numerosi articoli, sostiene che il gruppo sanguigno debba essere considerato un fattore che influisce sulla effettiva esposizione al virus ed alla patologia ad esso associata, con i gruppi sanguigni A e AB maggiormente predisposti ad acquisire un’infezione da SARS-CoV-2 ed esposti alle complicanze della COVID-19 (Hoiland et al., 2020), ed il gruppo 0 esposto ad un rischio minore.
La seconda teoria al contrario sostiene che non vi sia alcuna dimostrazione effettiva dell’esistenza di una correlazione tra gruppo sanguigno e rischio di infezione e progressione della patologia.
Pertanto sulla base di quanto emerso non è ancora possibile stabilire con certezza quanto e se effettivamente il gruppo sanguigno di un individuo influenzi la suscettibilità all’infezione e la morbilità e la mortalità della patologia, considerando soprattutto le potenziali ripercussioni che può avere sull’aderenza delle persone alle norme di prevenzione del contagio. La teoria secondo cui un gruppo sanguigno aumenti il rischio di contrarre la patologia rispetto agli altri dovrebbe essere approfondita ulteriormente attraverso studi più ampi e dettagliati, al fine di dissipare ogni ragionevole dubbio al riguardo.