Il Servizio sanitario nazionale non ha bisogno solo di nuovi “contenitori”, ma soprattutto di contenuti.
E per il territorio questi sono rappresentati dagli infermieri, dallo sviluppo della loro professione, dalla multi professionalità che si deve creare in strutture ad hoc vicine ai cittadini e che con questi possano interagire per soddisfare i loro bisogni di salute senza necessariamente ricorrere all’ospedale che resta il momento di elezione per le situazioni più gravi di acuzie.
Lavorando su questa linea e rispetto alle nuove risorse del Recovery Plan, la Federazione nazionale degli ordini delle professioni infermieristiche (FNOPI) ha messo a punto un documento che verrà presto inviato a Governo e Parlamento e i cui contenuti sono stati anticipati oggi in sintesi nell’audizione alla Commissione Affari Sociali della Camera.
La FNOPI rappresenta i 454mila infermieri presenti in Italia, oltre il 60% del personale sanitario, in gran parte in prima linea durante la pandemia tanto da contare il maggior numero assoluto di contagiati (l’82% tra i professionisti della sanità secondo l’INAIL) e a oggi 76 decessi, tutti solo di operatori impegnati nella lotta alla pandemia.
Il documento è stato elaborato grazie al supporto di un Advisory Board composto da personalità di rilievo del Ssn e organizzato con l’obiettivo di individuare le prossime grandi sfide del comparto e comprendere in che modo la professione infermieristica può contribuire nel potenziare ed ammodernare il Servizio sanitario nazionale (SSN).
La via da seguire è quella di ampliare le competenze infermieristiche sia dal punto di vista del numero dei professionisti sia, soprattutto, sul versante delle specializzazioni e delle capacità di programmazione del sistema, e riformando i percorsi di formazione.
Ed è indispensabile risolvere la cronica e grave carenza infermieristica da anni denunciata dalla Federazione che la quantifica in almeno 53mila unità (ma non a tempo determinato e con contratti flessibili), cifra questa che non equipara ancora il nostro Paese ai partner europei. Il recentissimo rapporto Sanità del Crea Sanità dell’Università di Tor Vergata di Roma, infatti, denunciando la carenza ha utilizzato per definirla i parametri europei secondo i quali mancherebbero almeno 162.972 infermieri se rapportati al complesso della popolazione e addirittura 272.811 se rapportati alla popolazione ultra 75enne, che poi è quella di riferimento soprattutto sul territorio.
“Tale gap – specifica il Rapporto Crea – risulta, peraltro, probabilmente sottostimato a causa della collocazione di queste figure professionali in unità operative non strettamente associate all’erogazione dell’assistenza (ad esempio uffici amministrativi delle Aziende Sanitarie), per motivi magari di non idoneità fisica ad assolvere le mansioni specifiche del ruolo”.
“Perché ci sia un vero cambiamento e il sistema si modelli sui nuovi standard e sulle nuove esigenze – commenta Barbara Mangiacavalli, presidente della FNOPI – si deve dare valore alle nuove competenze che gli infermieri hanno sviluppato: non si devono solo ‘spendere risorse’ per far funzionare il sistema, ma anche ‘nuove competenze’, ora bloccate da meccanismi che ancora seguono la regola ormai obsoleta e vecchia di decine e decine di anni di chi fa cosa senza tenere conto della qualità e della formazione acquisita. La resilienza del SSN passa soprattutto per la valorizzazione e l’avanzamento delle competenze infermieristiche, l’innovazione delle politiche di tutti i professionisti sanitari e dei modelli organizzativi. Ma per farlo davvero bisogna avere il coraggio di cambiare e il PNRR è una grande opportunità da non sprecare”.
Nel resto del mondo è già così: il neo presidente Usa, Biden ha scelto un’infermiera come responsabile delle questioni di salute pubblica all’interno del governo federale. Il Contrammiraglio Susan Orsega, laureata magistrale in Scienze infermieristiche, è stata già responsabile dei team sanitari dopo l’11 settembre, è intervenuta in operazioni internazionali contro il virus ebola, nell’organizzazione dei progetti per l’Hiv/Aids e coordina il dispiegamento di forze su tutto il territorio degli USA per fronteggiare l’epidemia da COVID-19.
“Quando toccherà agli infermieri italiani?”, incalza Mangiacavalli.
“L’assistenza sul territorio – aggiunge – può essere disegnata con le Case di comunità e gli altri servizi pensati per renderla efficiente. Ma non lo sarà mai se a questi non verranno date vere gambe con una reale multi professionalità, multidisciplinarietà e una vera ed efficiente organizzazione distrettuale nella quale un’attività core è quella dell’infermiere di famiglia e comunità, figura nuova ed essenziale che deve decollare in autonomia e in sinergia con le altre professioni”.
La professione va anche valorizzata identificando il suo ruolo nei vari setting assistenziali, in termini di accesso ai percorsi di studio, migliorando l’attrattività dei percorsi di carriera anche rispetto al trattamento economico. Questo grazie anche allo sviluppo della telemedicina e della teleassistenza con percorsi specifici per la professione infermieristica e al miglioramento dei modelli organizzativi della rete ospedaliera e territoriale, attraverso un’adeguata programmazione dei bisogni e rispettando un approccio multiprofessionale
“I considerevoli sforzi di investimento che l’Italia sta affrontando nell’ultimo periodo – conclude Mangiacavalli – sono meritevoli nel cercare di rispondere alla carenza di personale così come alla necessità di ammodernamento edilizio e tecnologico della rete ospedaliera e territoriale, elementi questi imprescindibili per garantire adeguatezza e sicurezza nelle cure ma che non trovano ancora risposte efficaci”.