Numeri in ribasso su tutti i fronti. Proprio quando il paese ha dovuto affrontare la pandemia da Coronavirus mettendo in campo il ‘sistema salute’, non ha potuto contare sulle risorse necessarie perché negli anni i tagli sono stati pesanti e penalizzanti.
Dal 2010 al 2018 la spesa sanitaria pubblica è aumentata solo dello 0,2% medio annuo, molto meno dell’incremento del Pil che è stato dell’1,2% e il numero di posti letto è diminuito di circa 33 mila unità. A far emergere il sottofinanziamento della sanità, insieme alla devolution che ha di fatto creato 21 diversi sistemi sanitari regionali, sono i dati della XVII edizione del “Rapporto Osservasalute” curato dall’Osservatorio Nazionale sulla Salute nelle Regioni Italiane che opera nell’ambito di Vihtaly, spin off dell’Università Cattolica, presso il campus di Roma.
“La crisi drammatica determinata da Covid-19 ha improvvisamente messo a nudo fino in fondo la debolezza del nostro sistema sanitario e la poca lungimiranza della politica nel voler trattare il SSN come un’entità essenzialmente economica alla ricerca dell’efficienza e dei risparmi, trascurando il fatto che la salute della popolazione non è un mero ‘fringe benefit’, ma un investimento con alti rendimenti, sia sociali sia economici”, afferma il Direttore dell’Osservatorio Nazionale sulla Salute nelle Regioni Italiane Walter Ricciardi, professore ordinario di Igiene generale e applicata all’Università Cattolica.
“L’esperienza vissuta ha dimostrato che il decentramento della sanità, oltre a mettere a rischio l’uguaglianza dei cittadini rispetto alla salute, non si è dimostrato efficace nel fronteggiare la pandemia. Le Regioni non hanno avuto le stesse performance, di conseguenza i cittadini non hanno potuto avere le stesse garanzie di cura. Il livello territoriale dell’assistenza si è rivelato in molti casi inefficace, le strategie per il monitoraggio della crisi e dei contagi particolarmente disomogenee, spesso imprecise e tardive nel comunicare le informazioni”, rileva il Direttore scientifico dell’Osservatorio Nazionale sulla Salute nelle Regioni Italiane Alessandro Solipaca.
Nel 2017 il numero di medici e odontoiatri del Ssn è di 105.557 unità, registrando un calo dell’1,5% rispetto al 2014, quando i medici erano 107.276. Diminuiscono dell’1,7% anche gli infermieri che passano da 269.151 nel 2014 a 264.703 nel 2017 con riduzioni più marcate in Abruzzo, Liguria, Friuli-Venezia Giulia e Molise. Il tasso di medici e odontoiatri del Ssn per 1.000 abitanti è in diminuzione, a eccezione di Trentino-Alto Adige, Puglia, Umbria e Sardegna. In particolare, in tutte le Regioni del Centro e del Sud e delle Isole la riduzione del tasso di medici e odontoiatri per 1.000 abitanti risulta più marcata e in via generale con valori superiori al dato nazionale.
Mentre la spesa pubblica in otto anni è aumentata solo dello 0,2%, la spesa privata delle famiglie è aumentata al 2,5%. Nel 2018, la spesa sanitaria complessiva, pubblica e privata sostenuta dalle famiglie, ammontava a circa 153 miliardi di euro, dei quali 115 miliardi di competenza pubblica e circa 38 miliardi a carico delle famiglie. Sacrifici che non sono neppure stati premianti visto che sempre hanno prodotto un aumento di efficienza dei servizi, ma anzi spesso si sono tradotti piuttosto in una riduzione dei servizi offerti ai cittadini. Per esempio, dal 2010 al 2018 il numero di posti letto è diminuito di circa 33 mila unità, con un decremento medio dell’1,8%.
Dal punto di vista dell’attività di assistenza erogata dagli ospedali, il Rapporto mostra che il tasso standardizzato di dimissioni ospedaliere a livello italiano mostra un andamento in progressiva riduzione nel periodo 2013-2018, passando da 155,5 ricoveri su 1.000 residenti del 2013 a 132,4 per 1.000 del 2018.
Tagli, riduzioni, regionalizzazioni dei servizi, si riverberano inevitabilmente sulla gestione di emergenze sanitarie come l’epidemia da Covid-19, il cui tratto dominante, in Italia, è stato infatti di disomogeneità nella gestione dei contagiati sul territorio.
Tante differenze nella gestione dei contagiati tra le Regioni: il Veneto ha la quota più bassa di ospedalizzati e quella più alta di soggetti positivi posti in isolamento domiciliare. All’inizio della pandemia questa Regione aveva in isolamento domiciliare circa il 70% dei contagiati, nell’ultimo periodo oltre il 90%.
Atteggiamento diverso della Lombardia e del Piemonte che hanno percentuali di ospedalizzazione tra il 50% e il 60% all’inizio della pandemia, per poi crescere e oscillare tra il 70 e l’80% nella prima metà di marzo, quando nelle altre Regioni diminuisce; infine, scendono sotto il 20% a partire dalla fine di aprile, primi di maggio.
Toscana e Marche hanno approcci simili, entrambe ospedalizzano oltre il 60% dei contagiati fino ai primi di marzo, scendono sensibilmente a meno del 30% alla fine di marzo e sotto il 20% dalla seconda metà di aprile.
Di questa emergenza sanitaria colpiscono anche le differenze regionali del tasso di letalità, che in Lombardia raggiunge il 18%, in Veneto un massimo del 10%. Emilia-Romagna, Marche e Liguria sono le altre Regioni con la letalità più elevata, tra il 14-16%. Non è chiara la spiegazione di questo dato, verosimilmente si è verificata una sottostima del numero di contagiati (il denominatore del rapporto con il quale si misura la letalità). Questa circostanza richiama la scarsa qualità del monitoraggio effettuato da alcune Regioni.
Tamponi – Il Veneto ne ha effettuati il numero più alto in rapporto alla popolazione, circa 50 ogni 100 mila abitanti all’inizio del periodo, fino a punte superiori a 400 agli inizi di giugno. La Puglia è la Regione con il numero minore di tamponi effettuati, meno di 100 ogni 100 mila abitanti. Colpisce la variabilità nel tempo fatta registrare da tutte le Regioni, in particolare il Veneto e le Marche.
Influenza e vaccino – Il Rapporto Osservasalute evidenzia che nell’intera stagione influenzale 2018-2019, il 13,61% della popolazione ha avuto una patologia simil-influenzale (Influenza-Like Illness-ILI), per una stima totale di circa 8.072.000 casi. Come di consueto, le ILI hanno colpito maggiormente la popolazione di età pediatrica: nello specifico il 37,28% dei bambini di età 0-4 anni, il 19,75% di età 5-14 anni, il 12,77% di individui di età compresa tra 15-64 anni e il 6,21% di anziani di età ≥65 anni. Nelle ultime due stagioni influenzali l’incidenza delle ILI nella fascia di età 0-4 anni è stata la più alta a partire dalla stagione 2004-2005.
Dal Rapporto emerge che la copertura vaccinale antinfluenzale nella popolazione generale si attesta, nella stagione 2018-2019, al 15,8%, con lievi differenze regionali. Negli anziani ultra 65enni, la copertura antinfluenzale non raggiunge in nessuna Regione neppure i valori considerati minimi dal Piano Nazionale Prevenzione Vaccinale, che individua nel valore di 75% l’obiettivo minimo perseguibile e nel valore di 95% l’obiettivo ottimale negli ultra 65enni e nei gruppi a rischio. Il valore maggiore si è registrato in Basilicata (66,6%), seguita da Umbria (64,8%), Molise (61,7%) e Campania (60,3%), mentre le percentuali minori si sono registrate nella PA di Bolzano (38,3%), in Valle d’Aosta (45,2%) e in Sardegna (46,5%).
Nell’intero arco temporale considerato (stagioni 2008-2009/2018-2019), per quanto riguarda la copertura vaccinale degli ultra 65enni, si è osservata una diminuzione, a livello nazionale, del 19,8%. Nelle ultime due stagioni (2017-2018/2018-2019), sempre nella classe di età 65 anni e oltre, il valore nazionale mostra un leggero aumento (+0,8%).
Il vaccino per l’influenza diverrà un tassello cruciale nella gestione di eventuali ondate di coronavirus in autunno, perché potrà contribuire a discernere tra influenza e sindrome Covid-19.
“L’esperienza Covid-19 ha acceso i riflettori sulla fragilità dei Servizi Sanitari Regionali nel far fronte alle emergenze – considera il Direttore scientifico Solipaca. In particolare, ha messo in luce la necessità di riorganizzare e sostenere con maggiori risorse il ruolo del territorio che avrebbe potuto arginare, soprattutto nella fase iniziale della pandemia, la portata dell’emergenza evitando che questa si riversasse sulle strutture ospedaliere, impreparate ad affrontare una mole elevata di ricoveri di persone in una fase acuta dell’infezione”.
“Un altro elemento su cui riflettere per il futuro è l’organizzazione decentrata della Sanità Pubblica, le Regioni, infatti, si sono mosse in maniera molto diversa l’una dall’altra – conclude Solipaca -, non sempre in armonia con il Governo nazionale”.