18/05/2017 - Presentato il IX Rapporto Favo sulla condizione assistenziale dei pazienti oncologici. Mangiacavalli (opi): "I pazienti oncologi sono argomento prioriatrio per noi infermieri". E annuncia l'avvio da parte della Federazione della Consulta delle associazioni dei pazienti
I pazienti oncologici italiani attendono in media 806 giorni, cioè 2,2 anni, per accedere a un farmaco anti-cancro innovativo. È il tempo che trascorre fra il deposito del dossier di autorizzazione e valutazione presso l’Agenzia Europea dei Medicinali (EMA) e l’effettiva disponibilità di una nuova terapia nella prima Regione italiana. Un termine che può dilatarsi fino a tre anni (1.074 giorni) se si considera l’ultima Regione in cui il farmaco viene messo a disposizione. Non solo.
Ai lunghi tempi di attesa talvolta si accompagna la cosiddetta “tossicità finanziaria”, cioè la crisi economica individuale conseguente al cancro e alle sue cure, problema noto da diversi anni negli Stati Uniti e che comincia a interessare anche i malati nel nostro Paese. Questa condizione tocca infatti il 22,5% dei pazienti italiani, che presentano anche un rischio di morte del 20% più alto rispetto alle persone colpite dal cancro ma senza problemi economici. La denuncia è contenuta nel IX Rapporto sulla condizione assistenziale dei pazienti oncologici, presentato oggi al Senato nel corso della XII Giornata del malato oncologico, organizzata da FAVO (Federazione italiana delle Associazioni di Volontariato in Oncologia).
“La spesa per i farmaci oncologici è passata da poco più di un miliardo di euro nel 2007 a oltre tre miliardi nel 2014 – spiega Francesco De Lorenzo, presidente FAVO -. Nel suo complesso, l’oncologia rappresenta una delle voci più rilevanti per il Servizio Sanitario Nazionale: per la prima volta, nel 2014, la spesa per i farmaci antineoplastici si è, infatti, collocata al primo posto. I dati rappresentano una realtà che mal si concilia con le attuali politiche sanitarie di vero e proprio ‘definanziamento’ del Sistema Sanitario Nazionale. Pur crescendo in valori assoluti, le risorse messe a disposizione, infatti, risultano progressivamente sempre più insufficienti per dare risposte concrete alla domanda di assistenza. Il desiderio legittimo dei malati di accedere all’innovazione si scontra, dunque, con la finitezza delle risorse”.
“In Italia esiste anche un problema di difficoltà economica per chi è colpito dal cancro che si traduce in uno svantaggio nel perseguire un miglioramento della qualità della vita con i farmaci antitumorali – continua Elisabetta Iannelli, Segretario FAVO –. Inoltre, una quota rilevante di pazienti vede peggiorare le propria crisi finanziaria durante la terapia: si tratta di un segnale predittivo di un maggior rischio di mortalità nei mesi e anni successivi”. Uno studio condotto dall’Istituto Nazionale per lo Studio e la Cura dei Tumori Fondazione ‘G. Pascale’ di Napoli e pubblicato su Annals of Oncology ha selezionato tutte le sperimentazioni le cui analisi principali fossero già state pubblicate e in cui fosse stato utilizzato il questionario EORTC C30 (frequentemente utilizzato per misurare la qualità della vita dei pazienti affetti da cancro). Sono state valutate 16 sperimentazioni condotte tra il 1999 e il 2015, a cui hanno partecipato 3.760 pazienti, affetti da tumori del polmone, della mammella o dell’ovaio.
“Il volontariato oncologico – sottolinea De Lorenzo, che è anche presidente della European Cancer Patient Coalition (ECPC) - ha portato avanti le sue battaglie per un migliore accesso ai farmaci e per l’introduzione di nuovi criteri di gestione delle politiche del farmaco sui due livelli istituzionali, italiano ed europeo, ritenendo ormai impossibile confinare la ricerca di soluzioni al solo ambito nazionale. L’orizzonte dell’impegno delle Associazioni dei malati è rappresentato dalla diffusione e dal consolidamento dell’Health Tecnology Assessment, (HTA), uno strumento di valutazione multidimensionale e multidisciplinare per l’analisi delle diverse implicazioni di una tecnologia sanitaria attraverso la valutazione di più dimensioni quali l’efficacia, la sicurezza, i costi, l’impatto sociale e organizzativo”. Già nel 2016, il volontariato oncologico aveva ottenuto un importante risultato: in occasione dell’approvazione di una serie di emendamenti al Regolamento dell’EMA è stato introdotto il principio della valutazione dei farmaci attraverso l’HTA parallela a quella tradizionale della sola efficacia clinica.
LEGGI IL IX RAPPORTO FAVO
“Il Rapporto Favo presentato in occasione della XI Giornata nazionale del malato oncologico, è da un lato una buona notizia perché indica che dal cancro si può guarire, ma dall’altro una fonte di problematicità mettendo in risalto, dati alla mano, tutte le pecche di un’assistenza che nel caso dell’oncologia non dovrebbero esistere, dai tempi biblici per l’introduzione di un nuovo farmaco, alla creazione di Reti di mobile-health di cui esempio per ora solo alcuni esempi virtuosi”.
Così commenta i dati sulla condizione assistenziale del malato oncologico presentati oggi da Favo, Barbara Mangiacavalli, presidente della Federazione nazionale dei Collegi.
“Per noi infermieri – aggiunge - l’argomento è sicuramente prioritario e in questo senso offriamo la nostra collaborazione per le prossime edizioni: il nostro codice deontologico in vigore, ma anche il nuovo in via di definizione che lo sostituirà parla chiaro quando prescrive come ogni nostro professionista “si attiva per prevenire e contrastare il dolore e alleviare la sofferenza. Si adopera affinché l’assistito riceva tutti i trattamenti necessari”, una regola per chi ogni giorno si coordina per aiutare i malati”.
“E in questo senso e per dare supporto ai nostri assistiti – annuncia Mangiacavalli - la Federazione OPI ha creato una specifica Consulta delle associazioni dei pazienti, che avrà tra qualche giorno la sua prima riunione. L’intento è di favorire il confronto e la crescita culturale sulle tematiche di interesse per la professione infermieristica sviluppando la collaborazione ed il coordinamento fra le varie realtà di rappresentanza degli assistiti. La Consulta è, quindi, un luogo di confronto e di comunicazione tra la Federazione OPI e le associazioni dei pazienti, in cui sono discussi temi di rilevanza per la professione infermieristica e per i cittadini. La Consulta è un organismo consultivo a cui potranno partecipare le Associazioni dei pazienti, di volontariato e di tutela e di promozione sociale, che operano nel settore sanitario, socio sanitario o in settori attinenti alla promozione della salute”.
Secondo la presidente OPI “non c’è momento più forte nell’assistenza ai malati di quello delle cure oncologiche, spesso palliative, in cui gli infermieri mettono in campo oltre le loro competenze cliniche la capacità di caring, di prendersi cura e non solo del paziente, ma di tutta la sua famiglia che con lui vive questi momenti drammatici, di prendersi cura della persona nella sua globalità (anche sociale) e autonomia. L’attenzione si focalizza sull’individuo piuttosto che sulla malattia, per privilegiare la qualità della vita.
Per questo è essenziale e propedeutico alla professione stessa, che gli infermieri imparino a riconoscere oltre a quelli clinici, anche i bisogni assistenziali ed emotivi dei pazienti e delle loro famiglie, sappiano affrontare il dolore e sappiano gestire il prima, il durante, ma anche il “dopo”, rispetto a problematiche diverse da quelle dell’assistenza in acuzie e in post-acuzie. E per questo è indispensabile, dati anche i risultati sull’informazione che il paziente ha dei suoi diritti e delle sue possibilità di cura, che gli infermieri siano coinvolti in prima persona oltre che nell’assistenza anche nell’informazione e nell’educazione ai malati che soffrono”.
“Noi infermieri – prosegue Mangiacavalli - sappiamo ascoltare i pazienti, li sappiamo capire e li aiutiamo oltre che dal punto di vista clinico anche da quello psicologico che in momenti di grave criticità rappresenta una componete essenziale dell’assistenza. E siamo, vogliamo e chiediamo di essere coinvolti in prima persona nell’assistenza tuto campo dei malati di tumore come espressione del necessario, anzi direi ormai indispensabile, insostituibile e ineludibile lavoro in team, priorità per ogni professionista dedicato ad affrontare accanto ai pazienti il loro dolore, con l’unico obiettivo da raggiungere ben identificato nel benessere del malato che va anche al di là del momento dell’acuzie e dell’emergenza. La cultura del sollievo è non solo una necessità, ma un dovere morale e fare si che essa si propaghi e venga compresa è un compito non solo meritorio dal punto di vista umano, ma professionalmente caratterizzante per chi, come gli infermieri, ha deciso di dedicare la sua vita al prendersi cura”.
“Si tratta - conclude - di essere in prima linea nell’assistenza ai pazienti più fragili, quelli che di più richiedono aiuto, che sopportano la maggiore sofferenza, focalizzando di più l’attenzione sull’individuo piuttosto che sulla malattia, per privilegiare la sua qualità della vita. Avendo come presupposto che la sofferenza non è inevitabile, dobbiamo fare sempre di tutto per comprendere come questa possa essere maggiormente tollerabile in termini di qualità di vita anche quando e se non è più completamente risolvibile”.