di Barbara Mangiacavalli, Presidente Federazione nazionale ordini delle professioni infermieristiche
La professione infermieristica deve fare un balzo in avanti, riappropriarsi della sua specificità e della sua specializzazione. Far ben comprendere ed emergere, uscendo dall’appiattimento legato a modelli vecchi e gerarchie obsolete, il suo carattere di professione intellettuale e la sua capacità di far crescere esponenzialmente la qualità dell’assistenza.
Per farlo si devono superare numerosi ostacoli che la professione ha incontrato sulla sua strada, riducendo l’attrattività della professione con modelli organizzativi inadeguati e presenza di attività improprie.
L’infermieristica ha oggi la necessità di differenziare/specializzare la professione, riconoscere livelli diversi di competenze/abilitazioni che siano remunerati diversamente, anche su questo non c’è dubbio.
Le azioni sono chiare e a confermarne la necessità sono e saranno nei prossimi mesi i risultati della Consensus Conference promossa dalla Federazione, così come quelli degli Stati Generali della professione, i primi in assoluto che non sono solo un modo di richiamare la scelta di pochi, ma hanno davvero ascoltato chi la professione la svolge e la esalta col proprio lavoro, migliaia e migliaia di infermieri. Da questi emergeranno proposte e modelli che non potranno essere più ignorati dal Governo e dalla politica se davvero si crede e si ha fiducia, come hanno ormai i cittadini con la massima evidenza, nella nostra professione.
I muri da abbattere sono già evidenti: mancata meritocrazia (appiattimento formativo); mancata possibilità di carriera (troppi infermieri che non hanno distinguo sul piano formativo e di carriera salvo la dirigenza e il coordinamento), inefficiente sistema concorsuale, dequalificazione.
Oggi, 12 maggio 2022, dopo due anni di una brutta esperienza di salute che nessuno si sarebbe mai aspettato, ma che paradossalmente ha messo in risalto la figura dell’infermiere nel suo patto di vicinanza ai cittadini, nel valore etico e deontologico, oltre che clinico, della professione, nel valore che l’infermieristica dà da sempre al concetto di prossimità che già contraddistingue la nostra professione e che ora dovrà aumentare la sua valenza, deve partire il vero cambio di paradigma e si devono lasciare alle spalle consuetudini, dati di fatto e abitudini che ormai appartengono a un passato in cui l’assistenza è rimasta una cenerentola, specie sul territorio e le persone sono spesso state lasciate sole.
Dalla storia si deve imparare per progredire nel presente e nel futuro, anche evitando errori ormai palesi nella consapevolezza delle nostre capacità e della nostra professionalità. Ha detto Goethe: “Un grande errore è quello di credersi più di ciò che si è e stimarsi meno di ciò che si vale”. Credersi più di quello che in realtà siamo, finora non ce lo hanno davvero permesso, ma non per questo dobbiamo stimarci meno di quello che, in realtà, valiamo.
E’ necessario un cambio di paradigma nell’assistenza e cambiare il paradigma vuol dire investire non soltanto su un maggior livello quantitativo di infermieri, ma un maggior livello qualificativo di disciplina infermieristica che guidi tutta la filiera assistenziale, disciplina che deve rimanere propria dell’infermiere e ben salda nell’evoluzione di un infermiere clinico altamente specializzato che definisca i percorsi assistenziali erogabili. Un infermiere che governi quindi tutta la “filiera assistenziale” a lui riconducibile per rendere attuabile e completo il processo di assistenza infermieristico pianificato.
La mutata epidemiologia della popolazione e le necessità contingenti legate alla salute portano necessariamente all’incremento del bisogno di assistenza che corrisponde al bisogno a cui dà prevalentemente risposta il sapere infermieristico.
Ogni possibilità di aumentare in modo significativo il numero degli infermieri, seppure appaia necessario, espone anche al rischio di una rilevante perdita della qualità dell’assistenza: la quantità di infermieri prodotti dal sistema deve crescere nella misura in cui crescono la attrattività del corso e il numero dei docenti ‘disciplinari’.
Attualmente il rapporto tra domande e immatricolazioni è 1:1,6 ed entrano quasi tutti i candidati e il numero di docenti strutturati è inferiore alle 50 unità su base nazionale.
Per raggiungere il cambio di paradigma, come la FNOPI ha già espresso nella sua lettera a Governo e Parlamento di inizio anno e come ha posto a base degli Stati Generali, le azioni da compiere sono:
modifica del quadro giuridico/ordinamentale, formativo e contrattuale, per riconoscere nuove funzioni e responsabilità delle professioni;
revisione della distribuzione delle responsabilità e dell’organizzazione del lavoro nei processi e negli assetti organizzativi;
definizione di confini professionali, all’interno del sistema, relativamente aperti e ‘contendibili’, insieme a strutture contrattuali che aiutino la flessibilità e lo sviluppo di competenze in una prospettiva di minore competizione tra le professioni;
consolidamento del percorso di formazione triennale dell’infermiere, affiancando la base formativa per la differenziazione di competenze e ruoli all’interno della professione, a un’offerta di specializzazione con percorsi flessibili e compatibili con l’attività lavorativa;
introduzione nei percorsi formativi universitari di corsi di laurea magistrale a indirizzo specialistico-professionale, definendo criteri stringenti in termini di piano didattico e tirocini.
Nulla di semplice e scontato. Ma la nostra è una battaglia per la professione e per la salute dei cittadini e la combatteremo metro per metro per realizzare un sistema che presidiando la qualità, colga tutte le opportunità per espandere il contributo di tutti (anche in termini di competenze specializzate, da non ricondurre comunque al modello del professionalismo). Occorre promuovere e gestire al meglio un equilibrio tra le professioni e nelle professioni tra generalisti/fungibilità e specialisti/infungibilità, saturare i bisogni della produzione a partire da saperi/competenze che richiedono minori tempi di formazione (minore rigidità) economizzando saperi/competenze dai percorsi più lunghi.
Un sistema in grado di perseguire un adattamento dinamico dello skill mix al mutare delle condizioni di ambiente e che oltre a occuparsi del planning delle professioni, presìdi e stimoli le capacità di adattamento
Cosa guadagneranno gli infermieri da tutto questo?
Sicuramente l’aumento del tempo e della possibilità per differenziare il gruppo professionale con percorsi di specializzazione, differenziando le figure al livello di base.
Poi l’introduzione di una forma di infungibilità che garantisca il superamento del concetto di silos professionali e disciplinari con la diminuzione della pressione legata al fabbisogno quantitativo di infermieri, lasciando il tempo ai corsi di laurea di consolidare l’offerta formativa con un progressivo e graduale aumento di studenti.
Tutto questo ci consentirà di dare una risposta efficace all’emergenza assistenziale, di realizzare nuovi percorsi magistrali in aree specialistiche, verso le scuole di specialità, di avere maggiore apertura a spazi per la progressione economica e di carriera della professione.
Tutto questo non è solo la Federazione a volerlo e gli ordini provinciali con i quali abbiamo condiviso questo percorso, ma sono di fatto gli infermieri in prima linea che lo chiedono.
Lo spirito delle richieste che stanno emergendo dagli Stati generali per far crescere la professione è riassumibile – per ora – in alcuni concetti espressi dagli stessi infermieri attraverso la piattaforma che raccoglie tutte le loro istanze. Come ad esempio, la necessità di multiprofessionalità reale (“si dovrebbero creare consulte sanitarie anche a livello locale, dove conoscersi, fare coesione e lavorare per i cittadini”), una maggiore presenza sul territorio e nelle scuole, un diverso modello di formazione, superando quello attuale che è giudicato “non più adeguato alle moderne esigenze e domanda di salute dei cittadini”, la necessità di dare evidenza al valore aggiunto dell’infermiere – riconosciuto nei fatti durante la pandemia – nella direzione delle professioni sanitarie e un maggior riconoscimento economico che però deve passare da una necessaria trasformazione e diversificazione della professione, per individuare diversi livelli meritocratici oggi assenti con un appiattimento generalizzato indipendentemente da ruolo, formazione, responsabilità.
Dobbiamo essere in grado di trarre da quella che ormai tutti definiscono “emergenza infermieristica” la forza e l’indicazione per un riposizionamento verso l’alto della nostra professione. E questo processo parte da qui, oggi.
Per questo vorrei concludere il saluto agli infermieri per il 12 maggio con alcune parole di Madre Teresa di Calcutta che sembrano ‘tagliate’ su questo giorno e sulla nostra professione:
“Il giorno più bello? Oggi. L’ostacolo più grande? La paura. La cosa più facile? Sbagliarsi. L’errore più grande? Rinunciare. La felicità più grande? Essere utili agli altri”.
Oggi è il 12 maggio, un 12 maggio nuovo che deve aprire una nuova era e non dobbiamo avere paura di sbagliare le nostre scelte, rinunciando alla vera crescita della nostra professione. Che ha, da sempre, un solo obiettivo: essere utile agli altri.