Il disegno di legge contro la violenza sugli operatori sanitari va avanti. Ma lo fa senza aver riconosciuto per medici, infermieri e operatori sociosanitari la qualifica di pubblico ufficiale, richiesta da una parte – ma non tutte – delle federazioni nazionali degli ordini.
Non pubblici ufficiali, ma con le stesse pene in caso di aggressioni
Tuttavia le modifiche approvate dalle Commissioni Giustizia e Sanità hanno esteso ai professionisti della Sanità (o sociosanitaria) le stesse pene previste nell’ipotesi di lesioni personali provocate a un pubblico ufficiale, introducendo tra le circostanze aggravanti del reato l’aver agito, nei delitti commessi con violenza o minaccia, a danno degli esercenti le professioni sanitarie o sociosanitarie nell’esercizio delle loro funzioni.
E si prevede anche che i reati di percosse (articolo 581 cod. pen.) e lesioni (articolo 582 cod. pen.) siano procedibili d’ufficio quando c’è l’aggravante del fatto commesso con violenza o minaccia a danno degli operatori sanitari.
Tutele attive evitando ulteriori responsabilità in altre situazioni
Il Parlamento quindi ha riconosciuto ai professionisti sanitari tutte le tutele “attive” che la qualifica di pubblico ufficiale comporta – la procedibilità d’ufficio per alcuni reati e l’aggravio delle pene per chi commette aggressioni ai loro danni – senza qualificarli espressamente come tali.
Secondo i parlamentari i professionisti sanitari sono già caratterizzati dall’attribuzione di determinate qualifiche giuridiche che, a seconda del caso concreto e della specifica attività, possono far rientrare il professionista nella qualifica di pubblico ufficiale, di incaricato di un pubblico servizio o di esercente un servizio di pubblica necessità e con queste situazioni far valere anche nei confronti del professionista le regole di condotta nel momento in cui si è verificata l’attività sanzionata dalla norma penale.
Concezione “funzionale oggettiva” di pubblico ufficiale
Il legislatore in pratica ha accolto la concezione cosiddetta “funzionale-oggettiva” della nozione di pubblico ufficiale, qualifica che viene attribuita non in base alla categoria professionale, ma in virtù dell’attività svolta. L’infermiere quindi può già essere considerato pubblico ufficiale secondo il criterio “funzionale”.
I problemi di essere “pubblici ufficiali”
Il problema di essere ‘ufficialmente’ e sempre “pubblici ufficiali”, secondo le indicazioni della giurisprudenza è nel fatto che questa qualifica potrebbe far aumentare sempre il peso della responsabilità del professionista, soprattutto di natura penale (art. 61, comma 9, cod. pen.: “l’avere commesso il fatto con abuso dei poteri, o con violazione dei doveri inerenti a una pubblica funzione o a un pubblico servizio, ovvero alla qualità di ministro di un culto”) quando prevede una maggiore pena per chi commette il fatto, appunto, “con violazione dei doveri inerenti a una pubblica funzione o un pubblico servizio”.
Pene più consistenti di quanto prevede la legge 24/2017
In questo caso l’infermiere a cui dovesse essere riconosciuta la responsabilità sanitaria di un atto andrebbe incontro a pene ben più consistenti di quelle previste dalla legge 24/2017 e prima dalla “Balduzzi”.
L’azione colposa sarebbe commessa in questo caso nella veste di pubblico ufficiale (o di incaricato di pubblico servizio), facendo considerare la responsabilità (o meno) penale del sanitario, senza poter evitare che la funzione esercitata sia riconducibile (o no) all’attività di “formazione e manifestazione della volontà della pubblica amministrazione o dal suo svolgersi per mezzo di poteri autoritativi o certificativi”, come è per il pubblico ufficiale in base all’articolo 357 cod. pen.. Cosa che se evitata spesso “libera” l’infermiere dall’aggravamento della pena legata alla funzione di pubblico ufficiale, appunto.
Aggravio della responsabilità senza criterio “funzionale”
L’abbandono del criterio “funzionale” a favore del riconoscimento della qualifica di pubblico ufficiale porterebbe quindi a un aggravio delle responsabilità del professionista, soprattutto in ambito penale, se si considerano le numerose ipotesi di reato in cui un professionista può incorrere nell’esercizio delle proprie funzioni.