19/05/2015 - I "viaggi della speranza" da Sud a Nord sono la spia della riduzione dei servizi per contenere la spesa. Mangiacavalli: "Per evitare tagli lineari il Governo valuti anche la capacità di programmazione e gli effetti della sua inappropriatezza: alcune Regioni spendono oltre 200 milioni l'anno per far curare altrove i propri cittadini". Le tabelle delle Regioni
Il maggior debito per far curare i propri residenti in altre Regioni ce l'ha la Campania: oltre 281 milioni di saldo negativo (la differenza cioè tra dare e avere rispetto all'ingresso e all'uscita di pazienti dalla Regione). La seguono a stretto giro la Calabria con quasi 256 milioni, il Lazio con 190,5, la Puglia con 183 milioni e la Sicilia con 177,5. In tutto 1,88 miliardi che rappresentano il 77,8% di tutti i debiti delle Regioni con saldo negativo di mobilità. E si tratta di tutte Regioni in piano di rientro, anche se praticamente tutto il Sud ha i saldi in rosso (tranne il Molise per le super-entrate dell'istituto Neuromed di Isernia che storicamente rende positivi i saldi altrimenti a picco della Regione).
Una situazione "certificata" la scorsa settimana dalla Conferenza delle Regioni che ha approvato le matrici di mobilità del 2013 per inserirle nel riparto del fondo sanitario 2015 e compensare così debiti e crediti; quasi 4 miliardi in viaggio per l'Italia tra entrate e uscite.
Se il Sud aumenta il suo debito con la mobilità, il Nord ci guadagna e, al Nord, soprattutto le Regioni che presentano comunque già bilanci positivi. In testa c'è la Lombardia che dalla mobilità incassa quasi 542 milioni, seguita dall'Emilia Romagna con 331 milioni e dalla Toscana con 138,6. Le altre Regioni con saldi positivi oltre quelle già citate sono Bolzano, Veneto, Friuli Venezia Giulia e Umbria. Oltre al Bambino Gesù di Roma, conteggiato a se nelle tabelle di mobilità a cui vanno 191 milioni e l'Ordine di Malta che di milioni ne incassa 37.
"E' necessario – commenta Barbara Mangiacavalli, presidente della Federazione nazionale OPI - che questa situazione finisca e Governo e Regioni si impegnino perché la mobilità possa rientrare nei livelli fisiologici: non si può accettare infatti che la spesa sanitaria resti sempre nel mirino dei tagli perché in alcune Regioni il deficit è alle stelle. E sono quelle dove mediamente anche i bisogni di salute sono maggiori, ma dove l'assistenza non va e i cittadini sono costretti a cercare cure altrove, con le spese che aumentano ancora di più".
"La situazione economica che si crea con i saldi di mobilità – spiega Mangiacavalli– al di là delle cifre, comunque significative, va letta infatti anche nel senso che le Regioni in maggiori difficoltà economiche a quanto pare non hanno servizi sufficienti e sufficientemente di qualità per trattenere, se non attrarre, i cittadini nei propri confini. E si tratta soprattutto di chi cerca alta specialità che fugge da queste Regioni. La prova? Il fatto che mentre nelle Regioni del Centro-Nord più virtuose la mobilità negativa è quasi tutta di confine, con scambi cioè con Regioni vicine, in quelle con i saldi in rosso i debiti più elevati sono quasi sempre verso Regioni lontane, spessissimo del Nord".
Dalle tabelle di mobilità approvate dalle Regioni, infatti, risulta ad esempio che mentre i debiti maggiori la Lombardia li l'ha verso l'Emilia Romagna, il Piemonte e il Veneto e l'Emilia Romagna verso la Lombardia, il Veneto e la Toscana, la Sicilia deve oltre 92 milioni (il 37,1% del suo debito totale) alla Lombardia e altri 79,6 li deve a Emilia Romagna, Liguria e Veneto. Così la Campania ha come maggiore creditrice oltre al Lazio che è Regione di confine, ancora una volta la Lombardia, la Liguria e l'Emilia Romagna. E la Lombardia è la maggior creditrice anche di Puglia e Calabria.
"La situazione – prosegue Mangiacavalli – conferma che i tagli, siano essi per ottenere risparmi che per rientrare dal deficit, penalizzano pesantemente l'assistenza, ma soprattutto i cittadini, che per trovare cure di qualità, specie nei casi più difficili, sono costretti a numerosi 'viaggi della speranza', con difficoltà loro, dei familiari e anche delle strutture delle Regioni di accoglienza che devono mettere sotto pressione i propri servizi e il personale per far fronte a una mole extra di lavoro. E sono paradossalmente proprio le Regioni da cui i pazienti 'fuggono' di più quelle che hanno ridotto maggiormente gli organici per tagliare i costi, segno evidente che senza personale l'assistenza non c'è".
Il riferimento di Barbara Mangicavalli in questo senso è all'ultima analisi Agenas-Stem su numerosità e costi del personale nel 2012, resa nota a fine 2014: a livello nazionale il calo numerico è stato del -2,8%, ma i dati sono sempre estremamente differenziati a livello regionale. Mentre infatti la Valle d'Aosta registra un incremento del 3,1% del numero di operatori dipendenti, la Campania ha un calo del -7,6 per cento. Sulla stessa onda viaggiano le altre Regioni in piano di rientro che hanno tra le misure di contenimento di spesa il blocco del turn over: Il Lazio è a -7,5%, la Puglia a -7,1%, il Molise a -6,7%, la Calabria a -6,4%, la Campania a -6,2%, l'Abruzzo – 3,5%. Uguali o sotto la media nazionale il Piemonte con -2,8% e la Sicilia a -2,3 per cento. Calo anche in Liguria, uscita dal piano di rientro proprio negli anni presi in considerazione nello studio (dal 2010 al 2013) che riduce gli organici dell'1,9 per cento. Assieme alla Valle d'Aosta registrano aumenti di personale anche Trento con +2,9%, e Bolzano con +1,2%.
"Per di più poi, proprio nelle Regioni con piani di rientro e personale ridotto, si è costretti a pagare chi c'è al di sopra del resto d'Italia perché faccia fronte a situazioni insostenibili di super lavoro. Nelle Regioni in Piano di rientro il costo del personale, infatti, è sempre al di sopra della media tranne in tre Regioni: Piemonte e Puglia, Regioni in piano di rientro senza commissario con -0,1% e -2% rispetto alla media e -2% anche in Abruzzo, dove il commissario c'è, ma la Regione è in uscita da quelle sotto sorveglianza speciale. Al contrario nelle altre, "storiche" Regioni in rosso e con i deficit più alti, la classifica dei costi extra rispetto alla media nazionale vede al primo posto la Campania con l'11% in più (al secondo posto assoluto dopo Bolzano), seguita da Lazio con il +8%, Sicilia +7%, Calabria +5%, Molise +4 per cento".
"A questo punto – conclude Mangiacavalli – sul piatto della bilancia delle misure da prendere per tenere sotto controllo la spesa, non possono esserci solo personale e beni e servizi, ma Il Governo valuti anche la capacità di programmazione e gli effetti della sua inappropriatezza, di chi per salvare le proprie casse demanda ad altri i suoi doveri di assistenza, penalizzando i cittadini e il servizio sanitario".
Tratto da OPI.IT