16/05/2017 - Più peso agli infermieri per la loro peculiarità di essere sempre accanto al malato in tutti i momenti del suo percorso assistenziale. Il Codice deontologico fa da guida per l'assistenza nei momenti del fine vita
Audizione OPI in Commissione Igiene e Sanità al Senaro oggi sul biotestamento.
La vicepresidente della Federazione nazionale, Maria Adele Schirru, ha illustrato ai parlamentari la posizione della Federazione, sottolinenado la necessità che gli infermieri vengano coinvolti maggiormente per il loro ruolo di vicninanza coi pazienti nei momenti più difficili.
Schirru ha evidenziato che l'équipe sanitaria è citata in realtà nel testo solo per le attività che sono sue proprie di assistenza, mentre la figura dell'infermiere potrebbe sicuramente avere un ruolo maggiore proprio nel momenro in cui si devono prendere decisioni difficili, magari senza che il paziante possa confermare o meno le sue volontà.
"Dare appropriatezza al percorso assistenziale che l’infermiere compie di fronte a questi malati - ha concluso Schirru - è non solo la manifestazione più evidente del suo dovere professionale, ma anche di quello morale che ha deciso di fare proprio nel momento stesso in cui ha scelto la professione: rendere testimonianza e partecipare a scelte importanti come quelle previste nel Ddl è la naturale evoluzione della professione".
Di seguito il testo dell'audizione.
"L’assistenza al paziente nel fine vita, la terapia del dolore e l’informazione al paziente sulle terapie in corso e sulle sue condizioni cliniche rientrano nei compiti degli infermieri che ne hanno previsto una regolamentazione etica anche loro Codice deontologico.
Nel nuovo Codice, per il quale è in corso una consultazione pubblica tra gli infermieri che garantisca trasparenza e pluralità, è previsto un capitolo specifico per il fine vita, ma già nel Codice ora in vigore sono scritte chiaramente le responsabilità etiche dell’infermiere.
Il Codice infatti prevede che il’infermiere si attiva per prevenire e contrastare il dolore e alleviare la sofferenza. Si adopera affinché l’assistito riceva tutti i trattamenti necessari; presta assistenza qualunque sia la condizione clinica e fino al termine della vita all’assistito, riconoscendo l'importanza della palliazione e del conforto ambientale, fisico, psicologico, relazionale, spirituale; tutela la volontà dell’assistito di porre dei limiti agli interventi che non siano proporzionati alla sua condizione clinica e coerenti con la concezione da lui espressa della qualità di vita; quando l’assistito non è in grado di manifestare la propria volontà, tiene conto di quanto da lui chiaramente espresso in precedenza e documentato.
Il Codice deontologico, l'infermiere tutela la volontà dell’assistito di limitare interventi che non siano proporzionati alla sua condizione clinica e coerenti con la sua visione di qualità di vita; quando l’assistito non è in grado di manifestare la propria volontà, tiene conto di quanto da lui chiaramente espresso in precedenza e documentato: gli infermieri mancano nel Ddl sul biotestamento.
Il disegno di legge sul biotestamento approvato dalla Camera cita, per ora, proprio nei settori specifici di questa materia solo il medico come figura sanitaria da coinvolgere nelle decisioni del paziente. Questo per la sua relazione peculiare con il paziente nel momento in cui deve indicare la diagnosi, la prognosi e le possibilità terapeutiche a cui le scelte del paziente possono essere collegate. Ma accanto al malato non ci sono solo medici: l’assistenza è effettuata da una serie di figure professionalmente importanti, che lo prendono in carico dal momento della diagnosi e per tutto l’iter correlato alla patologia e ai bisogni che ne derivano, fino alle cure palliative.
La senatrice Annalisa Silvestro, componente del Comitato centrale OPI, ha già a suo tempo indicato tre punti peculiari che secondo la nostra Federazione il disegno di legge dovrebbe prevedere.
La relazione peculiare del medico con il paziente per dare compiute informazioni sulla diagnosi, la prognosi, le terapie e i conseguenti effetti sono un atto naturale, ma sarebbe necessario:
• inserire in diversi punti dell'articolato – riferiti naturalmente non alle attività quotidiane normali, ma a quelle proprie della materia del Ddl - il riferimento all' "équipe assistenziale" e ai "componenti dell'équipe assistenziale" altrimenti mai citati nel testo;
• completare l'indicazione generica di "formazione del personale" inserendo la dizione "formazione del personale sanitario e del personale di supporto all'assistenza sanitaria";
• prevedere che anche "il tempo della comunicazione tra paziente e componenti dell'equipe assistenziale costituisce tempo di cura" come già indicato nel testo per il tempo della comunicazione tra medico e paziente.
Attualmente l’équipe sanitaria è citata sì, ma solo solo negli articoli che riguardano la normale assistenza al paziente. Cosa questa che già oggi accade nelle situazioni sia di normalità che di emergenza come cita anche il Ddl. Già oggi medico ed équipe sono tenuti a informare il paziente, a seguire le sue volontà espresse. Ma ad esempio ci si riferisce solo a ciò che è stato espresso al medico in caso di urgenza e il paziente non possa esprimere il proprio consenso o sia in una condizione di incapacità.
Riferimenti all’équipe sanitaria e specifici riferimenti alle competenze dei singoli partecipanti a essa, così come avviene per il medico, dovrebbero invece essere inseriti negli articoli che più direttamente riguardano la Dat e le volontà da esprimere nel fine vita.
Uno dei nodi più delicati da sciogliere del Ddl è proprio quello delle Dat, le disposizioni anticipate di trattamento. Il Ddl prevede infatti una serie di regole a tutela della scelta del paziente o del suo fiduciario, indica la necessità di redigere un atto scritto che testimoni la volontà del paziente o anche una registrazione in caso di impossibilità. Prevede le responsabilità in caso di minori o di persone non in grado di intendere e di volere, indica la necessità di testimoni che confermino le volontà, ma dice anche che “entro 60 giorni dall'entrata in vigore della legge il ministero della Salute, le Regioni e le aziende sanitarie provvedono a dare le necessarie informazioni circa la possibilità di redigere le DAT”, trasformando un argomento di estrema delicatezza in un atto quasi amministrativo che toglie di fatto al Parlamento una parte importante della normazione in materia.
In realtà si dovrebbero prevedere anche altre indicazioni.
Sarebbe il caso di normare la necessità di un controllo (attraverso una commissione terza) delle reali condizioni del paziente, onde evitare certificati che non rispondano interamente alle condizioni di chi esprime le volontà.
Altrettanto è necessario secondo noi che del consenso facciano parte le testimonianze di chi ha seguito il paziente nella sua storia clinica, non limitando la scelta alle cognizioni della famiglia o dello stesso medico. Questo perché l’evoluzione di una patologia contiene numerose sfaccettature e numerosi momenti in cui il paziente può essere più o meno consapevole delle sue condizioni e più o meno in grado di esercitare una scelta davvero libera.
Già oggi, anche senza le previsioni del Ddl, il mancato consenso informato lede il diritto dell'autodeterminazione del paziente e la giurisprudenza (Cassazione civile, sentenza 10414/2016) prevede pene per la mancata firma del paziente sul consenso, anche se il riferimento non è certo al fine vita.
L' infermiere si interpone tra il sanitario e il paziente, facilitando l'acquisizione delle informazioni, ponendosi a garanzia di una comunicazione efficace. Ha il compito di sostenere la persona da assistere coadiuvando il medico, garantire ogni informazione rispetto alle proprie competenze e autonomie e relativi piani assistenziali. Nella comunicazione con il paziente deve sapersi modulare in relazione allo stato culturale e psicologico del paziente, in modo da essere sempre chiaro ed efficace.
In questo senso l’infermiere che è costantemente accanto al malato e, quindi, il coinvolgimento dell’équipe di cura nella sua interessa, va ascoltato come ulteriore testimone delle volontà del paziente e quindi previsto anche sotto forma di équipe nel Ddl.
Si deve tenere presente a questo proposito che si tratterebbe di un intervento super partes a testimonianza e garanzia delle reali volontà espresse nel consenso.
Il nostro Codice deontologico infatti prevede anche che “L'infermiere non attua e non partecipa a interventi finalizzati a provocare la morte, anche se la richiesta proviene dall'assistito” e quindi si tratterebbe di una terza parte nel consenso informato.
Importante tuttavia per ciò che abbiamo già illustrato in precedenza:
gli infermieri nell’assistenza nel fine vita mettono in campo oltre le loro competenze cliniche la capacità di caring, di prendersi cura e non solo del paziente, ma di tutta la sua famiglia che con lui vive questi momenti drammatici, di prendersi cura della persona nella sua globalità (anche sociale) e autonomia. L’attenzione si focalizza sull’individuo piuttosto che sulla malattia, per privilegiare la qualità della vita che resta da vivere.
Dare appropriatezza al percorso assistenziale che l’infermiere compie di fronte a questi malati è non solo la manifestazione più evidente del suo dovere professionale, ma anche di quello morale che ha deciso di fare proprio nel momento stesso in cui ha scelto la professione: rendere testimonianza e partecipare a scelte importanti come quelle previste nel Ddl è la naturale evoluzione della professione".