Relazione 2014 della Banca d'Italia, Mangiacavalli: "Aumentano le spese esternalizzate e private, la mobilità penalizza le Regioni in deficit. Senza coraggio dei decisori e maggiore appropriatezza il sistema non va. Si deve passare dal 'dobbiamo fare' all''abbiamo fatto', rivalutando il lavoro di equipé" . La Relazione
La spesa sanitaria (6,9% del Pil nel 2014) è sostanzialmente in linea con la media dei paesi dell’area dell’euro. E dopo un triennio di continuo calo, la spesa è cresciuta dello 0,9% (a 111 miliardi); l’incremento è stato più contenuto di quello delle risorse stanziate. Un incremento però legato all’aumento dei consumi intermedi (acquisto di beni e servizi e per assistenza convenzionata), cresciuti del 3,5% (a 29,6 miliardi) a fronte della contrazione registrata negli altri comparti pubblici. L’aumento della spesa sanitaria riflette anche la crescita delle prestazioni sociali in natura (0,8%, a 39,7 miliardi. Si tratta in sostanza sempre di beni e servizi da produttori market messi a disposizione direttamente però dei cittadini che li pagano in via diretta. La spesa successivamente è sostenuta dalle amministrazioni pubbliche che li rimborsano e riguarda le funzioni di protezione sociale e sanità); i redditi da lavoro hanno invece continuato a ridursi (dello 0,7%, a 35,5 miliardi). Meno redditi per il personale quindi, anche se la spesa non diminuisce, secondo l’analisi che la Banca d’Italia fa nel suo rapporto annuale sull’economia 2015, riferito al 2014. Un effetto che si vede anche esaminando le retribuzioni medie a valori reali, considerando cioè gli indici di deflazione, secondo i quali le cifre medie complessive annuali sono praticamente sempre in calo nell’ultimo quinquennio. La Banca d’Italia conferma poi che i piani di rientro sono stati utili nelle Regioni che vi sono sottoposte per il controllo della spesa. Nel primo ciclo di programmazione (2007-09), le Regioni interessate (Liguria, Lazio, Abruzzo, Molise, Campania, Calabria, Sicilia, Sardegna) avevano già registrato un sensibile rallentamento delle spese, sia rispetto al triennio precedente (1,5% l’anno, contro il 3,8 nel 2004-06), sia con riferimento al resto del Paese (dove la spesa cresceva del 4,1% l’anno). Il consolidamento secondo la relazione si è rafforzato nel secondo ciclo di programmazione (2010-12): nelle Regioni coinvolte (Piemonte, Lazio, Abruzzo, Molise, Campania, Calabria, Puglia e Sicilia) la spesa si è ridotta (dello 0,6% in media all’anno), a fronte di una modesta crescita nelle altre Regioni (dell’1,1%). Queste stesse Regioni sono tuttora impegnate nell’esecuzione di programmi operativi (che seguono i piani di rientro). Il contenimento della spesa secondo la Banca d’Italia ha comportato, per le Regioni sottoposte a piano di rientro, una flessione sia dei posti letto (del 3,2 e del 3,6% l’anno rispettivamente nel triennio 2007-09 e in quello 2010-12) sia degli organici (del 2,2% l’anno in entrambi i periodi); nel resto del Paese la contrazione si è manifestata soprattutto a partire dal 2010 ed è stata meno pronunciata. E anche se tutto sommato l’effetto dei piani di rientro non sembra aver determinato cali nei livelli essenziali di assistenza (grazie anche a un rafforzamento dell’attività di monitoraggio sulla qualità del servizio) che hanno in qualche modo tenuto stabile il divario (molto forte però) rispetto alle Regioni non in piano di rientro, il livello delle prestazioni sanitarie nelle Regioni in forte deficit continua, tuttavia, a risultare mediamente inferiore a quello del resto del Paese, “come attestato – si legge nella Relazione - dal permanere di significativi flussi di mobilità in uscita”. “La Relazione della Banca d’Italia – commenta Barbara Mangiacavalli, presidente della Federazione nazionale OPI – conferma in sostanza , le nostre ultime analisi. Anche se non con toni di allarme poiché comunque si tratta di un’analisi economica e il Servizio sanitario indubbiamente risparmia. Ma sulle spalle di chi? La spesa aumenta a causa dei servizi intermedi, quelli cioè non legati alle prestazioni direttamente erogate dal Ssn che cerca al suo esterno il modo di supplire ai servizi che per colpa dei finanziamenti all’osso non riesce a erogare. Calano gli organici, diminuisce la spesa per il personale, le prestazioni nelle Regioni in piano di rientro (praticamente quasi tutto il Sud e parte del Centro) sono più scadenti che nel resto d’Italia. E come abbiamo sottolineato chiedendo un intervento urgente del Governo, il livello inferiore dei servizi in queste Regioni ha come cartina di tornasole quelli che la Banca d’Italia definisce ‘significativi flussi di mobilità’, che in realtà altro non sono se non la ricerca dei pazienti di soddisfare i propri bisogni sanitari. I tagli lineari che, nonostante impegni e garanzie assunti dai diversi governi di agire con meccanismi di spending review per incidere su inefficienze e inappropriatezze hanno caratterizzato e continuano a caratterizzare i provvedimenti normativi, dimostrano la miopia e la mancanza di coraggio dei diversi decisori istituzionali e politici. Con questo meccanismo - continua - stiamo depauperando patrimoni professionali e competenze, due elementi determinanti se vogliamo veramente introdurre in sanità modelli organizzativi e funzionali innovativi che, favorendo il lavoro interprofessionale, possano essere garanzia di sicurezza e appropriatezza del sistema salute, nel rispetto del diritto fondamentale sancito dall’art. 32 della Costituzione. Occorre infine - conclude Mangiacavalli - che la misurazione e valutazione degli esiti delle cure non restino solo speculazione accademica e teorica di pochi, ma diventino modalità ordinaria del necessario lavoro di equipé che si deve realizzare in sanità. Se non passiamo dal ‘si dovrebbe fare, si potrebbe fare’ all’‘abbiamo fatto’, dobbiamo essere consapevoli, come sistema salute, di far venire meno il mandato valoriale e deontologico che accomuna le professioni sanitarie”.