Con l'archiviazione del Gip di Tivoli della richiesta di ipotesi di esercizio abusivo della professione per 100 infermieri dipendenti non iscritti ai Collegi ai è riacceso in questi giorni il dibattito sull'obbligatorietà dell'iscrizione dei pubblici dipendenti agli albi professionali. Ecco perché c'è l'obbligoSi è riacceso in questi giorni l'annoso e trito dibattito sull'obbligatorietà dell'iscrizione dei pubblici dipendenti agli albi professionali. Causa scatenante, la pronuncia del Giudice per le indagini preliminari di Tivoli, che ha accolto la richiesta di archiviazione del Pubblico ministero per quanto riguarda l'ipotesi di reato di esercizio abusivo della professione per 100 infermieri di una Asl romana che a seguito di una indagine dei Nas non risultavano iscritti ad alcun Collegio.
La decisione di archiviazione - che non ha prodotto nessuna sentenza e rende quindi impossibile intervenire ulteriormente - si basa sulla più volte utilizzata distorsione interpretativa della legge 43/06 in quanto si richiama al fatto che il Governo non ha mai provveduto a dare corso alla delega conferitagli dalla stessa legge (art.4) per trasformare i Collegi in Ordini.
La legge 43/06 "Disposizioni in materia di professioni sanitarie e infermieristiche, ostetrica, riabilitative, tecnico-sanitarie e della prevenzione e delega al Governo per l'istituzione dei relativi ordini professionali" non subordina affatto l'obbligo di iscrizione all'albo professionale all'esercizio della delega al Governo per la trasformazione dei Collegi in Ordini.
L'estensione dell'obbligo di iscrizione ai pubblici dipendenti, infatti, è scritto al comma 3 dell'articolo 2 della legge 43/06 ove sono previsti i requisiti per l'esercizio della professione e non nell'articolo 4 ove è prevista la delega al Governo per la trasformazione dei Collegi in ordini, scaduta senza che vi sia stato dato corso.
L'art. 4 della legge 43/06 è quindi l'unica parte della legge inapplicabile.
In tal modo si è espresso anche nel 2014 l'allora sottosegretario alla Salute Paolo Fadda che rispondendo a un'interrogazione sulla sentenza della Corte di Cassazione 6491/2009 circa l'eventuale non obbligatorietà di iscrizione agli albi per i dipendenti, ha spiegato che "la recente legge n. 43 del 2006, al comma 3 dell'articolo 2, prevede l'obbligatorietà dell'iscrizione all'albo professionale per gli esercenti le professioni sanitarie, estesa anche ai pubblici dipendenti, quale requisito essenziale ed indispensabile per poter svolgere senza condizioni l'attività sanitaria sia come libero professionista sia nell'ambito del rapporto di servizio in regime di lavoratore dipendente. Pertanto permane valido, allo stato attuale, quanto previsto dalla citata legge n. 43 del 2006. Per quanto attiene alla operatività della stessa legge n. 43 del 2006 e, di conseguenza, alla possibilità di attuazione dei principi ivi contenuti, si osserva che soltanto l'articolo 4, concernente la concessione della delega al Governo per l'istituzione degli ordini e degli albi professionali, risulta essere inapplicabile, in quanto il termine temporale per la presentazione del relativo decreto legislativo è scaduto. I restanti articoli della legge n. 43 del 2006, e quindi anche l'articolo 1, sono vigenti".
Il Ministero del Lavoro, della Salute e delle Politiche sociali in una nota, inviata alla Federazione OPI nel gennaio 2009 aveva già sottolineato che: "alla luce di quanto previsto dal dettato normativo della legge 1° febbraio 2006, n. 43, l'obbligatorietà dell'iscrizione all'albo professionale sancita dall'art. 2 gennaio comma 3, estesa anche ai pubblici dipendenti, è requisito essenziale ed indispensabile per poter svolgere senza condizioni l'attività sanitaria sia come libero professionista, sia nell'ambito del rapporto di servizio in regime di lavoratore dipendente".
E ancora in tal senso si era espressa fin dal 2002 (ancor prima della legge 43/2006, quindi), la Commissione Centrale per gli Esercenti le Professioni Sanitarie, affermando che " nel vigente ordinamento l'esercizio di una professione sanitaria, quale è anche, e senza ombra di dubbio alcuno, quella dell'infermiere, presuppone l'iscrizione al rispettivo (Albo o Collegio professionale), competente per territorio; e questo sia come libera professione che come lavoro dipendente nell'ambito del Servizio sanitario nazionale (decisione C.C.E.P.S. n. 178/2001). In via specifica, si richiama altresì quanto previsto per i professionisti sanitari dipendenti dal S.S.N. all'art. 1, comma 2, del D.P.R. n. 761/1979, in combinato disposto con l'allegato 1- ruolo sanitario - tabella I - personale infermieristico". Vi è, poi, il D.M. del Ministero della Sanità n. 739/1994, che all'art. 1 recita "E' individuata la figura professionale dell'infermiere con il seguente profilo: l'infermiere è operatore sanitario che, in possesso del diploma universitario abilitante e dell'iscrizione all'albo è responsabile della assistenza generale infermieristica". Da ultimo, si veda anche il D.P.R. 27 marzo 2001, n. 220, con cui è stato approvato il "Regolamento recante disciplina concorsuale del personale non dirigenziale del S.S.N.", che all'art. 2, lett. d), fissa come requisito generale di ammissione ai concorsi "... l'iscrizione all'albo professionale, ove richiesto per l'esercizio professionale". Alla luce di tale normativa la Commissione Centrale ravvisa l'obbligo del ricorrente di iscrizione al Collegio professionale, in costanza di attività infermieristica sia essa libero professionale che alle dipendenze di un'Azienda Ospedaliera. (decisione n. 84 del 13 dicembre 2002)".
Con la distorsione interpretativa e l'archiviazione viene raggiunto l'obiettivo di evitare il licenziamento dei 100 infermieri per esercizio abusivo della professione.
Non merita commentare la costante strumentalizzazione che alcuni mettono in atto ogni qual volta viene trattato il tema iscrizione a uno degli Albi tenuti dai Collegi OPI; iscrizione che è un obbligo giuridico - oltre che deontologico - che non può essere disatteso in quanto definito e normato per poter esercitare la professione infermieristica.