Tratto da OPI.IT
Lettera della presidente della Federazione OPI a tutti i mezzi di comunicazione per evitare che il termine "infermiere" sia utilizzato per indicare operatori di altre professionalità che compiono atti e, spesso, illeciti o reati di varia natura
I "professionisti infermieri" chiedono aiuto ai "professionisti giornalisti". La Federazione nazionale OPI ha inviato a tutte le testate giornalistiche di carta stampata, agenzie, televisioni e radio, periodici, testate on line e specializzati, agli Ordini regionali dei giornalisti e alla Federazione nazionale della Stampa, una lettera (in allegato) in cui si chiede collaborazione ai media per evitare il ripetersi di una pratica frequente negli ultimi tempi: il termine "infermiere" è utilizzato a vario titolo per indicare operatori di altre professionalità che compiono atti e, spesso, illeciti o reati di varia natura. In sostanza negli ospedali (ma anche nei servizi sanitari sul territorio), sembrano esistere solo due categorie professionali da citare: medici e infermieri.
La Federazione su questo argomento ha anche messo in allerta i Collegi provinciali perché vigilino sull'utilizzo della qualifica di infermiere da parte dei media e ha inviato loro un modello, anche in questo caso a scopo "preventivo", di richiesta di rettifica a mezzo stampa secondo le regole dettate dalla legge. Una reazione tuttavia che proprio con la lettera ai media si vorrebbe evitare.
Gli errori maggiori a cui si riferisce la Federazione degli infermieri nella lettera sono avvenuti quando si utilizza la qualifica di infermiere attribuendola a personale ausiliario, a operatori sociosanitari o a operatori tecnici dell'assistenza e per questo "scrivo per tentare di scongiurare ulteriori pestaggi mediatici nei confronti di professionisti che, per come operano ogni giorno al fianco dei più deboli, certamente non lo meritano", spiega la presidente OPI, Barbara Mangiacavalli, nella lettera ai media.
L'ultimo caso in ordine di tempo è quello dell'ausiliario (non un infermiere come invece hanno riportato gran parte dei media) che ha palpeggiato una ottantenne in un grande ospedale di Roma, ma la "confusione" viene da lontano e si è arrivati anche a confondere professioni del tutto diverse tra loro e senza analogie. Nello scambio di embrioni per la fecondazione assistita accaduto all'inizio del 2014 a Roma, a esempio, l'azione, per sua implicita ammissione, era stata compiuta da una biologa, ma i titoli di molti giornali l'hanno attribuita a un infermiere.
Nella lettera, la Federazione OPI spiega che grazie alla collaborazione con i media si "può evitare agli infermieri di essere indicati come responsabili di comportamenti infamanti anche quando sono estranei ai fatti, cercando così di tranquillizzare la categoria e di conseguenza evitare richieste di rettifica a mezzo stampa che si stanno moltiplicando con effetti spiacevoli sia per i mezzi di comunicazione, dei quali – scrive la presidente - rispettiamo il servizio erogato, la necessità dell'attività e la sua utilità sociale, sia per i nostri professionisti, che hanno come obiettivo della loro attività la tutela della salute dei pazienti, soprattutto di quelli sempre in aumento anziani, non autosufficienti, affetti da patologie croniche e, in generale fragili, con esigenze di continuità assistenziale quindi e di lunghe terapie che vanno al di là dell'intervento in fase acuta e di diagnosi e prima terapia".
E riportando una breve descrizione-vademecum delle caratteristiche delle attività spesso confuse tra loro, la Federazione indica alla stampa nazionale la disponibilità con pochi clic anche di una verifica on line sul suo sito istituzionale dell'appartenenza alla professione di infermiere di chiunque abbia motivo di essere citato come tale.
"Sono certa – conclude Mangiacavalli rivolgendosi ai mezzi di comunicazione - della comprensione della necessità di questo chiarimento e chiedo collaborazione per evitare il ripetersi di tali situazioni e per poter tranquillizzare la categoria di cui faccio parte, lasciando agli infermieri la necessaria serenità nell'attività quotidiana in cui si prendono cura dei pazienti e la certezza che questi li riconoscano per quel che sono e non li guardino con un sospetto legato in realtà all'agire di altre figure non controllate, non responsabili e che noi, come Collegi professionali, non possiamo neppure sanzionare".