Educare al dono del sangue e promuovere una corretta informazione in merito all’utilizzo terapeutico appropriato del sangue e dei suoi componenti, per il miglioramento della salute dei cittadini, questo l’obiettivo comune che unisce FIDAS (Federazione Italiana Associazioni Donatori di Sangue) e FNOPI (Federazione italiana degli ordini delle professioni infermieristiche).
Si è siglato oggi, presso la sede FNOPI di Roma, il Protocollo d’intesa che intende unire le energie delle due Federazioni per la realizzazione di programmi di informazione, comunicazione sociale, educazione sanitaria e formazione dei cittadini volti a promuovere l’importanza del dono del sangue e degli emocomponenti, quale terapia indispensabile per i cittadini di tutta Italia.
Le azioni comuni di FIDAS e FNOPI riguarderanno iniziative di sensibilizzazione e informazione riguardanti il valore della donazione volontaria, non remunerata, consapevole e periodica.
Per concretizzare il protocollo si intendono realizzare iniziative di prevenzione ed educazione sanitaria sulla base dell’analisi e della valutazione epidemiologica dei dati rilevati sui donatori e sulle donazioni, riferimento epidemiologico essenziale per la realizzazione di alcuni tra i principali obiettivi della programmazione sanitaria nazionale, dalla promozione di comportamenti e stili di vita sani al contrasto delle principali patologie, prime fra tutte quelle cardio-vascolari, fino alla promozione dell’appropriato e consapevole utilizzo delle risorse sanitarie da parte dei cittadini.
FIDAS e FNOPI promuoveranno anche iniziative progettuali per diffondere la conoscenza del ruolo e l’importanza della professione infermieristica all’interno del Sistema Trasfusionale e delle attività associative nelle fasi di reclutamento, gestione e fidelizzazione del donatore.
“Il Sistema Trasfusionale italiano con la pandemia – ha detto Il presidente nazionale FIDAS, Giovanni Musso – ha dimostrato grande capacità di adattamento, dettata soprattutto dal senso del dovere che i professionisti della sanità, così come i tanti volontari delle associazioni del dono hanno dimostrato, recependo prontamente nuove modalità organizzative per evitare la diffusione del Covid-19. Un plauso va ai tanti infermieri che ci hanno accompagnato in questo percorso: senza di loro la raccolta del sangue e degli emocomponenti non sarebbe possibile. I volontari FIDAS sono felici di avviare una collaborazione con FNOPI, certi che da questa nuova sinergia possano nascere benefici per i protagonisti ultimi del nostro impegno: i pazienti”.
“Gli infermieri hanno tra i loro compiti la presa in carico del donatore e del ricevente durante tutto il percorso trasfusionale – ha ricordato Barbara Mangiacavalli, presidente FNOPI – e secondo un accordo Stato-Regioni del 2012 sono formati in modo specifico per questo. Ma è una specificità non riconosciuta in termini valoriali e professionali da aziende e istituzioni, mentre, anche con protocolli condivisi e tecnologie adeguate, l’infermiere specializzato può garantire il controllo delle trasfusioni e il buon uso del sangue ovunque, così come oggi avviene negli ospedali. Per questo il protocollo con FIDAS, per garantire una compliance totale ai cittadini, ha tra gli obiettivi anche quello della promozione del ruolo e della specificità infermieristica”. www.fnopi.it
Infermieristica in testa nella classifica degli occupati a una anno dalla laurea: 84,8% rispetto alla media delle professioni sanitarie dell’80,9%, comunque la più alta tra tutte le professioni (al secondo posto le lauree del gruppo educazione e formazione con il 56,7%).
L’analisi è contenuta nel XXIV rapporto annuale 2022 del Consorzio Interuniversitario AlmaLaurea, presentato a Bologna a fine giugno.
L’età media al conseguimento della laurea di primo livello in infermieristica è di 24,8 anni con meno di 23 anni nel 42,9% dei casi e il 38,5% tra 23 e 24 anni (ma il 10,6% si è laureato a 27 anni e oltre). La durata media degli studi è stata di 3,5 anni.
Degli occupati il 2,8% lavora ed è iscritto a una laurea di secondo livello e dal punto di vista del settore lavorativo, il 59,1% è occupato nel pubblico, il 38,6% nel privato e il 2,3% nel non profit.
Tuttavia il 78,5% (in aumento di quasi il 10% rispetto alle precedenti rilevazioni) intende proseguire gli studi dopo la laurea di primo livello e di questi il 24,3% vorrebbe farlo soprattutto con un master universitario (41%), poi con la laurea magistrale (24,3%) o con un altro tipo di master o corso di perfezionamento (5,2%). Motivo nel 96,9% dei casi: completare/arricchire la formazione.
E c’è anche un 12,7% che si è iscritto dopo la laurea di primo livello a un altro corso di laurea.
Sul piano retributivo la media segnalata da AlamaLaurea è 1.615 euro netti mensili, 1.658 per gli uomini e 1.602 per le donne.
Il 99,3% dei laureati giudica l’efficacia della laurea e la soddisfazione per l’attuale lavoro ‘molto o abbastanza efficace’ e per quanto riguarda i giudizi sull’esperienza universitaria, il 92,2% è complessivamente “decisamente soddisfatto, abbastanza soddisfatto” del corso di laurea che ha seguito, il 91% lo è dei rapporti con i docenti, e il 95,5% di quelli con gli studenti.
Per quanto riguarda la preferenza del luogo di lavoro (possibili risposte multiple), il 76,6% è disponibile a lavorare nella provincia di residenza, il 75,7% in quella degli studi, il 69,6% nella Regione degli studi.
Il 55,7% preferirebbe l’Italia settentrionale, il 41,6% quella centrale e il 28,9% l’Italia meridionale.
Ma c’è anche un 39,3% che sarebbe disposto a lavorare in un altro stato europeo e il 23,1% in uno extraeuropeo. www.fnopi.it
Gentile Direttore,
nel ringraziarla per l’ospitalità, sono a notare l’impoverimento e le traversie del dibattito sulla questione dei rapporti tra professioni sanitarie, declinato per una parte verso l’area competenze, con affermazioni, anche da parte di rappresentanti istituzionali tipo “a ognuno il suo” “sembra veramente improponibile” rispetto ad esempio a ruoli di primo accesso o di più ampia autonomia per il personale infermieristico, e, al contempo, con il richiamo su vicende passate alla giustizia amministrativa a diversi livelli per fermare ogni vento di cambiamento positivo a favore dell’accesso alla salute dei cittadini, come nel caso delle Unità di degenza infermieristica in Umbria e delle parafarmacie.
Entrambi questi casi mostrano i palesi limiti della regionalizzazione, la cogente necessità di un nuovo modello di coordinamento Stato-Regioni per l’organizzazione dei Servizi sanitari, una visione di uno Stato che più che regolare il mercato e le relazioni, sembra voler, sempre più, volerlo dominare e garantire il mantenimento rendite di posizione, con la crescita della burocratizzazione e di modelli di legislazione talmente complessi e rigidi, ma allo stesso tempo interpretabili e discrezionali - sempre a favore dello status quo - specie nei provvedimenti volti ad innovare e a liberalizzare.
Dall’altro lato, l’attenzione sui dati e sulla numerosità del personale spesso avviene con l’utilizzo strumentale – o omissivo - degli stessi nel confronto con altri Paesi, ad esempio indicando per la carenza di personale, quella complessiva, che riguarda per buona parte infermieri, concentrandosi invece per converso sulla ridotta carenza di medici specialisti.
Proprio partendo dalla presunta carenza dei medici, voglio tornare sulle notazioni espresse dal Dr. Maffei, per buona parte condivisibili rispetto alle carenze lamentate dal Forum dei Clinici su QS.
Le necessità di personale del servizio sanitario vanno riviste con una visione della sanità orientata al nuovo quadro epidemiologico, alla digitalizzazione, alla robotica, alla preparazione a scenari temporanei ad alta operatività, come per la pandemia, e alla realizzazione concreta dell’assistenza sanitaria primaria e dell’integrazione socio-sanitaria.
Carenze di medici in talune specialità e in aree geografiche limitate esistono e vanno adeguatamente considerate in linea con gli scenari sopra delineati.
I dati, per i medici, sono chiari: la numerosità dei medici italiani è tuttora sopra la media europea, anzi dal 2009 in poi è cresciuta come afferma il recente rapporto Osservasalute, mentre gli infermieri hanno una numerosità di almeno il 30% inferiore ai dati medi europei. E lo stesso vale per gli studenti di Medicina che hanno di molto superato quelli di infermieristica e con financo la FNOMCEO che ha chiesto meno medici di quanto hanno fatto il Ministero della Salute e le Regioni, il cui gradiente di esondazione a trazione medico-centrica è di tutta evidenza.
La carenza infermieristica italiana, ben più grave rispetto a tutte le altre professioni sanitarie, va tenuta in considerazione come prioritaria. Al momento, tuttavia, non risultano azioni straordinarie volte ad attenuarla o a garantire più attrattività, con incentivazione per l’accesso alla formazione, esonero delle tasse universitarie, o con azioni di detassazione per il mantenimento in servizio e/o con la possibilità regolamentata di esercizio extra-professionale, ad esempio.
Le ricadute sulla salute dei cittadini dell’immobilismo sono già molto evidenti: in diverse realtà le liste di attesa e cure sono fuori controllo, molti pronto soccorso sono già oltre i limiti di garanzia di sicurezza, ed è già presente pericolosa dei costi – out of pocket - per il ricorso a strutture private.
Voglio con l’occasione tornare anche al punto dell’impropriamente detta supplenza infermieristica, assimilabile al task shifting, le dichiarazioni di area lombarda appaiono forzate e imprecise. Tuttavia il task shifting può avvenire e avviene - su base regolamentata.
Circa il riferirsi a “ognuno il suo” sulle competenze delle diverse professioni, semplicemente questo ragionamento, presuppone il mantenimento dello status quo tra professioni.
Tuttavia, le competenze che si ritengono esclusive della professione medica in Italia non lo sono in altre nazioni; le aree di contiguità nei limiti dell’agire professionale e la mobilità nel settore salute dovrebbero dimostrare come il sistema, con opportuni aggiustamenti e innovazioni, debba operare esclusivamente per dare concrete soluzioni alle esigenze di salute dei cittadini. Non per fare lobby e per mantenere rendite di posizione.
Tra l’altro il task shifting, lo spostamento di attività da una professione all’altra, è avvenuto da medici e infermieri verso i farmacisti (non i parafarmacisti), senza troppo rumore, per tamponi e vaccinazioni per il Covid-19, attribuendo agli stessi funzioni senza nessuna supervisione.
Purtroppo per gli infermieri il COVID-19, in Italia, a differenza di molti Paesi, non c’è stato nessun task shifting nell’effettuazione di attività in maggiore autonomia o per essere primo punto di contatto dei cittadini a partire dal territorio (come già avviene nei triage ospedalieri).
Su questo vale bene citare il documento del 2019 “Task shifting and health system design” elaborato da un Panel di esperti dell’UE, tra cui il Prof. Walter Ricciardi, componente anche del già nominato Forum dei clinici, che, sulla base di una sintesi della letteratura, indica come “nel complesso, gli infermieri adeguatamente formati possono produrre un'assistenza di qualità pari a quella dei medici di base” [MMG] (punto 3.4.5 del documento) e nelle conclusioni che “è necessario riconoscere che alcune funzioni possono essere svolte ugualmente bene da diversi professionisti della salute con una formazione adeguata e, in alcuni casi, avanzata.
Quindi con adeguata formazione e meccanismi di protezione, nessun rischio, se non quello di essere per i professionisti, imbrigliati in illogiche norme protezionistiche e per i cittadini di non ricevere assistenza e cure.
Quello che però appare cruciale, quindi non è il ricorso a soluzioni “tampone” ma investire nella pratica infermieristica autonoma, con competenze specialistica ed avanzata, che in termini di orientamento concettuale è cosa ben diversa dal task shifting, in quanto è connessa all’espansione e completamento del percorso assistenziale infermieristico, come indicato nel recente documento CNAI e nei documenti di ICN e WHO tradotti in italiano.
L’auspicio è che il cosiddetto “patto di diamante” tra le Federazioni degli Ordini di Medici e Infermieri, porti anche sul versante degli enti regolatori italiani, una nuova stagione di “fioritura” per lo sviluppo dell’autonomia infermieristica e che nei rapporti professionali, si vada oltre talune il manifesto presentato.
L’appello è per tutti i decisori: le tante buone intenzioni finora annunciate si concretizzino in ponderate azioni, si leggano non strumentalmente i dati, si ascoltino le istanze proveniente dal mondo delle Società e Associazioni professionali, senza andare avanti per potentati o ricorsi alla giustizia amministrativa per fermare l’evoluzione. Si usi il coraggio fino ad ora mancato a tutti i livelli per superare i silos anche terminologici tra componente ospedaliera e assistenza primaria e tra le diverse professioni, a beneficio del bene comune.
Walter De Caro
Presidente Nazionale CNAI - Consociazione Nazionale Associazioni Infermiere/i www.quotidianosanita.it