L’ictus cerebrale è più frequente dopo i 55 anni ed è spesso considerato una malattia che interessa soltanto soggetti anziani. la probabilità di malattia aumenta infatti con l’aumentare dell’età (il 75% degli ictus si verifica nelle persone con più di 65 anni), ma sempre più spesso ne sono colpiti anche i giovani.
A lanciare l’allarme è A.L.I.Ce. Italia Odv, Associazione per la Lotta all’ictus cerebrale che anche quest’anno aderisce alla “Settimana Mondiale del Cervello”, iniziativa annuale realizzata dalla Società Italiana di Neurologia (Sin) che ha come obiettivo quello di sensibilizzare l’opinione pubblica sulla prevenzione e la lotta a tutte le malattie neurologiche, informando nello stesso tempo sugli importanti progressi che la ricerca scientifica sta ottenendo.
“Le stagioni del cervello” è il tema scelto per l’edizione 2022, che parte oggie, sottolineando ancora una volta quanto sia importante essere attivi nel tutelare la propria salute fin da giovani e avere una maggiore consapevolezza sui principali fattori di rischio per prevenire l’insorgenza di malattie cerebrocardiovascolari
“L’età avanzata resta uno dei principali fattori di rischio non modificabili – dichiara Danilo Toni, Direttore Unità Trattamento Neurovascolare Policlinico Umberto I di Roma e Presidente del Comitato Tecnico-Scientifico di A.L.I.Ce. Italia Odv – tuttavia, si calcola che, nel nostro Paese, circa 12mila soggetti di età inferiore a 55 anni vengano colpiti da questa patologia ogni anno: la fascia di età più giovane tende ad essere sempre più a rischio perché sono sempre più diffuse condizioni predisponenti come ipertensione arteriosa, diabete, obesità, sedentarietà e cattiva alimentazione”.
Inoltre, il sensibile aumento che si è riscontrato in questi ultimi anni, soprattutto nei soggetti under 45, va senz’altro attribuito anche ad una maggiore diffusione di alcol e droghe; l’uso smodato di alcolici e superalcolici rappresenta un fattore di rischio sia per l’ictus ischemico che per quello emorragico, aumentando anche di 3-4 volte la probabilità di incorrere in un episodio di patologia cerebrovascolare, ma può costituire anche un fattore precipitante, determinando l’insorgenza dell’evento acuto, ad esempio in occasione di una forte bevuta (binge drinking), magari nel fine settimana.
“La prevenzione gioca come sempre un ruolo determinante, è un elemento chiave che va perseguito fin dalla più giovane età – continua Toni – è necessario concentrare i propri sforzi per seguire uno stile di vita sano, in cui trovino ampio spazio una corretta alimentazione e un’attività fisica costante, tenendo sotto controllo tutti quei fattori di rischio che possono portare a patologie cerebrocardiovascolari. Davvero importante, inoltre, sottoporsi a periodici controlli medici, che devono essere adeguati al passare degli anni”.
“In occasione della Settimana Mondiale del Cervello – dichiara Andrea Vianello, Presidente di A.L.I.Ce. Italia Odv – la nostra Associazione intende ribadire che seguire piccoli accorgimenti può aiutare a proteggere il proprio cervello, in tutte le sue “stagioni”. Adottare fin da giovani stili di vita sani vuol dire anche mantenere il proprio cervello sano e in buone condizioni dal punto cognitivo e arrivare all’età adulta con un profilo di rischio più basso”.
Fermare gli attacchi alle strutture sanitarie ucraine: questo l'appello contenuto in una dichiarazione congiunta del Direttore generale dell'UNICEF Catherine Russell, del Direttore generale dell'UNFPA Dr. Natalia Kanem e del Direttore generale dell'OMS Dr. Tedros Adhanom Ghebreyesus che riportiamo integralmente:
"Oggi, chiediamo la cessazione immediata di tutti gli attacchi all'assistenza sanitaria in Ucraina. Questi orribili attacchi stanno uccidendo e causando gravi ferite a pazienti e operatori sanitari, distruggendo infrastrutture sanitarie vitali e costringendo migliaia di persone a rinunciare all'accesso ai servizi sanitari nonostante le terribili necessità.
Attaccare i più vulnerabili - neonati, bambini, donne in gravidanza, coloro che già soffrono di malattie e disturbi e gli operatori sanitari che rischiano la propria vita per salvare vite umane - è un atto di crudeltà inconcepibile.
In Ucraina, dall'inizio della guerra, sono stati documentati 31 attacchi all'assistenza sanitaria attraverso il Sistema di sorveglianza degli attacchi all'assistenza sanitaria (SSA) dell'OMS . Secondo questi rapporti, in 24 incidenti le strutture sanitarie sono state danneggiate o distrutte, mentre in cinque casi le ambulanze sono state danneggiate o distrutte. Questi attacchi hanno causato almeno 12 morti e 34 feriti, e hanno colpito l'accesso e la disponibilità di servizi sanitari essenziali. L'OMS sta verificando ulteriori rapporti, poiché gli attacchi continuano ad essere segnalati nonostante gli appelli alla protezione dell'assistenza sanitaria.
Gli attacchi all'assistenza sanitaria e agli operatori sanitari hanno un impatto diretto sulla capacità delle persone di accedere ai servizi sanitari essenziali - specialmente donne, bambini e altri gruppi vulnerabili. Abbiamo già visto che i bisogni di assistenza sanitaria delle donne in gravidanza, delle neomamme, dei bambini più piccoli e degli anziani all'interno dell'Ucraina stanno aumentando, mentre l'accesso ai servizi è fortemente limitato dalla violenza.
Per esempio, in Ucraina, dall'inizio della guerra, ci sono state più di 4.300 nascite e si prevede che 80.000 donne ucraine partoriranno nei prossimi tre mesi. L'ossigeno e le forniture mediche, anche per la gestione delle complicazioni della gravidanza, si stanno esaurendo pericolosamente.
Il sistema sanitario in Ucraina è chiaramente sotto pressione, e il suo collasso sarebbe una catastrofe. Ogni sforzo deve essere fatto per evitare che questo accada. Il diritto internazionale umanitario e i diritti umani devono essere rispettati, e la protezione dei civili deve essere la nostra massima priorità.
I partner umanitari e gli operatori sanitari devono essere in grado di mantenere e rafforzare in sicurezza la fornitura di servizi sanitari essenziali, compresa la vaccinazione contro il COVID-19 e la polio, e la fornitura di medicinali salvavita per i civili in tutta l'Ucraina e per i rifugiati che attraversano i paesi vicini. I servizi sanitari dovrebbero essere sistematicamente disponibili ai valichi di frontiera, comprese le procedure di assistenza rapida e di rinvio per i bambini e le donne in gravidanza.
È fondamentale che gli attori umanitari abbiano un accesso sicuro e senza impedimenti per raggiungere TUTTI i civili in difficoltà, ovunque essi siano. L'UNICEF, l'UNFPA e l'OMS stanno lavorando con i partner per aumentare i servizi salvavita e il sostegno per soddisfare i bisogni sanitari urgenti.
Dobbiamo essere in grado di consegnare in sicurezza le forniture mediche di emergenza - comprese quelle necessarie per le cure ostetriche e neonatali - ai centri sanitari, alle strutture temporanee e ai rifugi sotterranei.
L'assistenza e i servizi sanitari devono essere protetti da tutti gli atti di violenza e gli ostacoli. Nel mezzo della pandemia da COVID-19 in corso, che ha già messo a dura prova i sistemi sanitari e gli operatori sanitari, tali attacchi hanno il potenziale di essere ancora più devastanti per la popolazione civile.
Per il bene degli operatori sanitari, e per tutte le persone in Ucraina che hanno bisogno di accedere ai servizi salvavita che forniscono, gli attacchi a tutta l'assistenza sanitaria e alle altre infrastrutture civili devono cessare.
Infine, chiediamo un cessate il fuoco immediato, che includa l'accesso senza ostacoli in modo che le persone in difficoltà possano usufruire dell'assistenza umanitaria. Una risoluzione pacifica per porre fine alla guerra in Ucraina è possibile". www.quotidianosanita.it
Gli infermieri sono i professionisti della Sanità in assoluto più colpiti dagli atti di violenza sugli operatori sanitari.
L’89% è stato vittima di violenza sul lavoro e nel 58% dei casi si è trattato di violenza fisica: hanno subito violenza in generale sul posto di lavoro circa 180mila infermieri e per oltre 100mila si è trattato di un’aggressione fisica.
La situazione poi si sta aggravando perché accanto alle usuali violenze, durante la pandemia si sono create situazioni come quelle in cui non è stato possibile far avvicinare persone ai ricoverati che ha generato fortissime tensioni e numerose aggressioni e ci sono poi i no-vax che sono autori di continue aggressioni e minacce, anche di morte.
Di tutte le aggressioni al personale sanitario secondo l’INAIL, il 46% sono a infermieri e il 6% a medici (gli infermieri sono i primi professionisti a intercettare le persone che si rivolgono ai servizi, sia nel triage ospedaliero che a domicilio). Quindi le aggressioni a infermieri sarebbero circa 5.000 in un anno (anche se spesso quelle verbali non sono neppure denunciate), 13-14 al giorno in media. Ma le mancate denunce e gli episodi non rilevati dimostrano che il numero è sicuramente sottostimato e in realtà le violenze (verbali e fisiche) sono almeno 10-15 volte più numerose.
Per questo, grazie al co-finanziamento della FNOPI, è stato realizzato da otto Università italiane lo studio nazionale multicentrico sugli episodi di violenza rivolti agli infermieri italiani sul posto di lavoro (ViolenCE AgainSt nursEs In The workplace CEASE-IT).
Dalla ricerca – i cui dati complessivi saranno presentati all’Osservatorio contro la violenza sul personale sanitario insediato l’11 marzo – emerge che più della metà (il 54,3%) ha segnalato l’episodio, ma chi non l’ha fatto (l’altra metà dei professionisti coinvolti) si è comportato così perché, nel 67% dei casi ha ritenuto che le condizioni dell’assistito e/o del suo accompagnatore fossero causa dell’episodio, nel 20% convinto che tanto non avrebbe ricevuto nessuna risposta da parte della struttura in cui lavora, il 19% ritiene che il rischio sia una caratteristica attesa/accettata del lavoro e il 14% non lo ha fatto perché si sente in grado di gestire efficacemente questi episodi, senza doverli riferire.
Le conseguenze in un’aggressione ci sono sempre: il 24.8% degli infermieri che ha segnalato di aver subito violenza negli ultimi 12 mesi, riporta un danno fisico o psicologico, e per il 96.3% il danno è a livello psicologico, compromettendo spesso anche la qualità dell’assistenza.
Il 10.8% dichiara poi che i danni fisici o psicologici hanno causato disabilità permanenti e modifiche delle responsabilità lavorative o inabilità al lavoro.
Ma la conseguenza professionale prevalente riguarda il “morale ridotto” (41%) e “stress, esaurimento emotivo, burnout” (33%).
“La prevenzione degli episodi di violenza a danno degli operatori sanitari – sottolinea Barbara Mangiacavalli, presidente FNOPI – richiede che l’organizzazione identifichi i fattori di rischio per la sicurezza del personale e ponga in essere le strategie organizzative, strutturali e tecnologiche più opportune, diffonda una politica di tolleranza zero verso atti di violenza nei servizi sanitari, incoraggi il personale a segnalare prontamente gli episodi subiti e a suggerire le misure per ridurre o eliminare i rischi e faciliti il coordinamento con le Forze dell’ordine o altri oggetti che possano fornire un valido supporto per identificare le strategie per eliminare o attenuare la violenza nei servizi sanitari. Solo l’impegno comune può migliorare l’approccio al problema e assicurare un ambiente di lavoro sicuro. E questo studio è il primo passo”.
Le cause del fenomeno sono multifattoriali e includono: personale ridotto (la carenza), elevato carico di lavoro, tipologia di pazienti. I principali fattori di rischio sono negli atteggiamenti negativi dei pazienti nei confronti degli operatori, nelle aspettative dei familiari e nei lunghi tempi di attesa nelle zone di emergenza, che portano a danni fisici, ma anche disturbi psichici, negli operatori che subiscono violenza.
“Con lo studio – aggiunge Mangiacavalli – si descrivono le caratteristiche degli episodi di violenza vissuti dagli infermieri sul posto di lavoro negli ospedali italiani e sul territorio, per meglio identificare i fattori predittivi di violenza. Oggi purtroppo, nonostante le evidenze emerse durante la pandemia, si stanno affermando messaggi culturali che inducono la popolazione a coltivare una rabbia crescente verso gli operatori delle strutture. A questo concorrono le notizie spesso scandalistiche e molte volte false, sui servizi sanitari, che creano a priori un’aspettativa negativa nei confronti dei servizi, che a sua volta fomenta la frustrazione e la rabbia e mina il rapporto di fiducia tra cittadini e operatori”.
Contro la violenza, in particolare sulle donne che nella professione infermieristica sono quasi il 77% dei professionisti, FNOPI ha anche aderito alla campagna di sensibilizzazione e di promozione della salute #LOTTOcontrolaviolenza da poco avviata da Federsanità ANCI e Asl di Viterbo. “Un’iniziativa – chiosa Mangiacavalli – che dà il senso di un impegno che va oltre le semplici celebrazioni di facciata”. www.fnopi.it