L'Agenzia europea del farmaco (EMA) in merito a notizie, soprattutto diffuse sui social media, secondo cui gli antinfiammatori non steroidei (FANS), come ad esempio l’Ibuprofene, potrebbero aggravare la malattia da COVID-19, ha recentemente pubblicato una comunicazione in cui specifica che attualmente non vi sono prove scientifiche che stabiliscano una correlazione tra l’Ibuprofene e il peggioramento del decorso della malattia da COVID-19. L’Agenzia comunica anche che sta monitorando attentamente la situazione e valuterà tutte le nuove informazioni che saranno disponibili su questo problema nel contesto della pandemia.
L'Ibuprofene è un antinfiammatorio non steroideo, ed è un farmaco antidolorifico e antipiretico (antifebbrile). A seconda della formulazione l'Ibuprofene orale è utilizzato negli adulti, nei bambini e nei neonati a partire dai tre mesi di età per il trattamento a breve termine di febbre e/o dolori quali mal di testa, dolori influenzali, dolori dentali e dismenorrea (dolori mestruali). L'Ibuprofene è prescritto anche per il trattamento dell'artrite e delle condizioni reumatiche.
L'EMA nella sua nota raccomanda che in caso di dubbi o incertezze sui farmaci, i pazienti si rivolgano al loro medico o farmacista e non interrompano la consueta terapia senza aver prima consultato un operatore sanitario e ricorda che i medicinali devono essere prescritti e utilizzati conformemente alla valutazione clinica, tenendo debitamente conto delle avvertenze e delle altre informazioni presenti nel riassunto delle caratteristiche del prodotto (RCP) e nel foglio illustrativo, nonché delle indicazioni fornite dall'OMS e dagli organismi nazionali e internazionali competenti.
Il ministero ricorda che i cittadini possono rivolgersi anche al numero gratuito 1500 dove medici e operatori forniscono tutti i giorni supporto e informazioni sull’emergenza nuovo coronavirus. Leggi
È straziante veder morire soli i pazienti Covid-19
Lavoro in rianimazione, un luogo non particolarmente abituato a grandi chiacchiere, tranne che con i famigliari. Normalmente sono poche le chiacchiere scambiate con i pazienti, e in tempo di Covid le chiacchiere sono ancora meno.
In tempo di Covid c'è solo un momento in cui si parla con lui ed è quello il momento più difficile. È il momento in cui lo si va ad intubare, in medicina, in malattie infettive, in Pronto soccorso. È il momento in cui gli si spiega quello che si sta per fare e quello che ne sarà delle giornate a venire.
E ogni volta, il sentimento che emerge è la paura. Paura della malattia. Paura di non risvegliarsi. Paura di morire.
E il loro pensiero, in quel momento, va alle loro famiglie. E se in quel momento fanno anche una telefonata a casa, il tutto diventa ancora più straziante.
Dottoressa, chiama mia moglie dopo, vero? Le dica che fra 2 o 3 giorni esco e la chiamo. Dopo chiama mio marito? Gli dica di non preoccuparsi e che sto bene.
E poi la videochiamata
"Babbo, adesso ti mettono un tubicino nella gola così mettono i polmoni a riposo e gli diamo il tempo di guarire. Hai capito? Sto cercando di capire. Ok babbo non ti preoccupare, andrà tutto bene. Ti voglio bene, babbo. Ti voglio bene anche io."
Tu infermiere sai che quei due-tre giorni saranno due-tre settimane, nella migliore delle ipotesi. Ma lo sa anche lui, il tuo paziente.
"È straziante il momento del saluto. È straziante vedere la paura nei loro occhi"
È straziante, da figlio/marito/fratello sapere di non poterli supportare nella malattia, stando vicini al loro letto, aiutandoli a farsi la barba al mattino o facendogli un massaggio ai piedi. È straziante ricevere informazioni per telefono, perché è un ospedale Covid e non si può accedere.
È straziante saperli morire, da soli.
La prima estubazione di un paziente covid
"Ah, dimenticavo. C'è anche un altro momento in cui si parla col paziente: quando finalmente si sveglia da questo lungo ed interminabile periodo di riposo.
Giorno X, prima estubazione di un paziente Covid. La prima frase del paziente: Io entro sera devo andare a casa!
Devi portare pazienza ancora qualche giorno, sei appena stato estubato. E la sai una cosa? Tu sei la nostra più grande soddisfazione. Ok. Ma io entro sera devo andare a casa.
Enzo, mi senti?
Fa sì, con la testa.
Enzo stai bene adesso!
Fa sì, con la testa.
Enzo, hai paura?
Fa sì, con la testa.
Adesso stai bene, saremo presto fuori da qui."
"Mannaggia a queste mascherine e agli occhialoni da sub. Si appannano che è una meraviglia. Ma almeno non si vedono gli occhi degli infermieri. Gli occhi pieni di lacrime"
Obiettivo seconda o terza settimana di maggio. È il momento in cui, alle tendenze attuali, sull’intero territorio italiano potrebbero azzerarsi le nuove diagnosi di contagio da Covid-19. Si dovrebbe arrivare a quel momento – sulla base dei dati disponibili – fra il 5 e il 16 maggio. Ma alcune regioni, Veneto e Piemonte inclusi, possono raggiungere il risultato già nella prima metà di aprile e in ogni caso quasi tutte entro il mese prossimo. L’Einaudi Institute for Economics and Finance (Eief), un centro di ricerca universitaria di Roma sostenuto dalla Banca d’Italia ma del tutto indipendente, avvia in questi giorni un lavoro di ricerca che mancava. E che interessa moltissimo l’intero Paese tanto quanto il resto del mondo. L’intento è formulare le prime proiezioni attendibili sulla data alla quale l’Italia arriverà alla frontiera di quota zero nei nuovi contagi registrati.
La base statistica è costituita dai dati forniti ogni giorno alle 18 dalla Protezione civile (qui tutti i bollettini, qui una guida per leggerli) ed è stimando le variazioni quotidiane e la loro evoluzione nel tempo che l’Eief formula le proprie estrapolazioni. Il lavoro è affidato a Franco Peracchi (affiliato anche alla Georgetown University e all’Università di Tor Vergata) e verrà rivisto e ripubblicato ogni sera sul sito dell’Eief dopo gli aggiornamenti della Protezione civile.
Per adesso, indica un orizzonte per la prima volta chiaro: le nuove diagnosi di Covid-19 si azzerano fra il 5 e il 16 maggio anche in Toscana, la regione che oggi sembra più indietro nel piegare la curva. L’intervallo di oltre dieci giorni fra l’ipotesi più ottimistica (5 maggio) e quella più lontana nel tempo (16 maggio) dipende dai metodi di calcolo prescelti: nel primo caso si valutano i valori mediani – quelli al centro della distribuzione delle probabilità fra le evenienze peggiori e migliori – mentre nel secondo caso si prendono in considerazione anche eventuali valori estremi e fuori dalla norma delle prossime settimane. Continua la lettura