Riceviamo e pubblichiamo la lettera alle redazione riguardante la situazione pandemica e le decisioni governative comprese nel DL 34/2020, sull’implementazione di 3.500 posti letto di Terapia Intensiva, la riqualificazione di 4.250 posti di terapia semintensiva e l’attivazione dell’Infermiere di Comunità e Famiglia.
Le forze politiche (tutte) spingono per l’operatività delle decisioni nei tempi più rapidi possibili. Per gli adeguamenti strutturali il percorso ideale potrebbe essere lo stesso seguito per il Ponte Morandi (le gare stanno bloccando tutto). Per fare questa operazione necessitano 23.268 Infermieri.
Un po’ diversa la situazione per il personale … PERCHE’ I 23.268 INFERMIERI NON CI SONO!!!
Alcuni numeri per spiegare le motivazioni (con riferimento solo al personale stabile del SSN) – fonte – Ministero Economia e Finanza:
1) nel periodo 2014-2018 gli infermieri usciti dal Sistema (pensionamenti ed altro) sono stati 37.744.
2) nel periodo 2014-2018 gli infermieri assunti dal Sistema (per coprire il turnover e eventuali adeguamenti) sono stati 37.731.
3) i laureati in infermieristica nello stesso periodo (fonte: conferenza corsi di laurea – A.Mastrillo – elaborati) sono stati mediamente 10.000 l’anno. Questi hanno consentito la copertura del turnover e l’adesione ai bandi di assunzione a tempo determinato.
4) la proiezione dei laureati in infermieristica per gli anni 2020-21-22 è pari allo storico (circa 10.500 l’anno).
Pertanto:
. forse si riesce a coprire il turnover;
. certamente non si riescono a garantire le attività assistenziali definite a livello governativo (23.268 infermieri), peraltro da subito, considerando anche che per lavorare nelle aree intensive servono competenze specifiche, non acquisibili in tempi brevi;
Inoltre:
. gli standard assistenziali sono carenti nella maggior parte delle realtà sanitarie;
. le Residenze Sanitarie e le strutture sociali, in sofferenza da sempre, ora sono in condizioni drammatiche!!
E’ il momento che tutte le forze politiche, le regioni, gli ordini professionali, le organizzazioni sindacali, le società scientifiche, le associazioni a tutela dei cittadini e dei malati decidano di mettersi intorno ad un tavolo per affrontare seriamente la problematica!!
E’ il momento di superare le parole con i fatti … magari anche con l’aiuto dei “media”. www.nursetimes.org
Garantire la salute nelle scuole fa parte delle caratteristiche proprie della professione infermieristica: professionisti laureati, formati ad hoc, esperti di comunicazione ed educazione sanitaria e anche dipendenti già delle strutture sanitarie.
“Tutta la comunità infermieristica, come sempre, vuole mettersi a disposizione del Paese per la garanzia di due diritti importantissimi: quelli all’Istruzione e alla Salute. Vogliamo essere al fianco degli studenti e delle loro famiglie, ai docenti e più in generale alle scuole. Possiamo e vogliamo dare il nostro contributo per garantire una riapertura delle scuole nel massimo della sicurezza per la salute dei ragazzi. E il nostro contributo alla scuola vuole andare anche oltre l’emergenza Covid. Ci sono infatti tutte quelle condizioni di fragilità nei confronti delle quali la nostra professione può certamente offrire risposte concrete – ha dichiarato Barbara Mangiacavalli Presidente FNOPI. “
Per questo il decreto Rilancio ha introdotto nel Ssn la figura dell’Infermiere di Famiglia e di Comunità, e nella comunità la scuola riveste un ruolo centrale.
Una soluzione a portata di mano che Va semplicemente colta e valorizzata. Un attore del “rilancio” del Paese per volontà stessa delle Regioni, Governo e del Parlamento.
La scuola è una delle situazioni che attualmente presentano maggiore fragilità e non solo nel caso della pandemia. Attualmente infatti si procede cercando di coinvolgere insegnanti e parenti in un compito di assistenza prettamente sanitario, che necessita di una presenza costante che l’infermiere di comunità, per sua natura, può garantire. E che garantirebbe la necessaria multidisciplinarità essendo in grado, se necessario, di attivare e coinvolgere altri professionisti in base alle eventuali, reali necessità degli alunni.
La popolazione dei bambini di età 0-18 anni è pari a circa il 18% della popolazione totale e, nonostante il decremento progressivo delle nascite, sono numerosi i nuovi problemi di salute e di educazione sanitaria dei bambini e delle famiglie che richiedono attenzione con risposte appropriate e uniformi sul territorio nazionale. Va garantita la migliore qualità delle cure, sicurezza negli interventi nonché risposte assistenziali efficaci.
Come già gli infermieri fanno in alcuni casi: sono ormai circa due anni che è stato sottoscritto un protocollo d’intesa tra FNOPI e Federazione Diabete Giovanile per l’assistenza ai bambini diabetici nelle scuole. Un’assistenza sia dal punto di vista clinico secondo i bisogni legati a questa patologia, che educativo perché i piccoli non siano condizionati nel loro stile di vita.
“Appare utile prevedere nella riorganizzazione dell’assistenza sul territorio – aggiunge Mangiacavalli – in previsione anche di una maggior impulso alle attività di prevenzione, educazione sanitarie e sostegno ai bisogni della popolazione in tutte le fasce di età, una figura di “infermiere scolastico” che può anche essere un infermiere pediatrico, figura questa che si occupa dei bisogni di salute dei bambini di età compresa tra 0 e 18 anni, soprattutto in ambito ospedaliero, mentre è poco presente sul territorio, dove invece darebbe sicuramente seguito nel migliore dei modi alla necessità di assistenza e di implementazione dei determinanti di salute”.
La presa in carico degli assistiti, territoriale e ospedaliera, deve prevedere un modello che si caratterizzi per la capacità di porre la persona al centro, puntando all’integrazione e alla personalizzazione dell’assistenza.
“L’organizzazione di un tale modello – prosegue – richiede l’attivazione di team che includano vari professionisti, ognuno con il proprio ruolo all’interno di un percorso integrato, in grado di prendere in carico la persona. Secondo le esperienze regionali un sistema di questo tipo potrebbe anche garantire iniziative di prevenzione, educazione e promozione della salute e dei corretti stili di vita per incidere precocemente sui determinanti di salute, per ridurre sia l’incidenza delle malattie croniche, sia la progressione della malattia già esistente, attraverso l’impegno di tutti i professionisti coinvolti”.
“Lavorare su questi aspetti – spiega la presidente FNOPI – è compito di tutti i settori della società e richiede il coinvolgimento attivo della popolazione. Per rendere efficace il trasferimento delle informazioni è necessario l’impegno continuo, personale e sociale verso l’obiettivo salute. Vi è la necessità di creare un circuito sinergico fra norme, risorse, istituzioni e servizi da una parte ed abitudini e stili di vita dall’ altra, evitando il rischio della scissione concettuale ed operativa fra il sistema dei servizi e il suo ambiente: la popolazione di riferimento.
L’Infermiere di famiglia e di comunità già c’è ed è qui anche per questo e la nostra Federazione è pronta al confronto con le istituzioni per normare e organizzare con la massima urgenza legata alle necessità della Scuola questo tipo di assistenza.
Proprio per questo – conclude – abbiamo inviato una lettera aperta ai ministri competenti, alle Regioni e alle commissioni parlamentari, per metterci a disposizione del Paese”. www.fnopi.it
Gli effetti psicologici secondari alla pandemia sono legati ai più svariati motivi: dall’incertezza della durata della crisi, alla mancanza di terapie comprovate o all’assenza di un vaccino; alla carenza di DPI, fino alla paura di contagiarsi o contagiare un membro della propria famiglia.
Gli studi condotti a livello internazionale hanno evidenziato come l’impatto psicologico secondario al COVID–19 sia analogo a quello emerso nelle pandemie precedenti, come la SARS o l’influenza da H1N1.
Tutti gli studi mettono in luce come gli effetti principali sugli operatori siano ansia, depressione, attacchi di panico e come tutti questi elementi siano più intensi fra coloro che operano in un’U.O. a contatto con la malattia da COVID, o fra coloro che hanno famigliari o amici affetti da COVID.
Gli studi condotti in Cina
Uno studio condotto a Wuhan di Zhang et al. (2019) ha preso in esame 994 persone, tra personale medico e infermieristico. Agli operatori è stato somministrato un questionario, utilizzando scale validate riguardanti il disturbo d'ansia, l'insonnia, la depressione e l’angoscia.
L’indagine ha messo in luce che il 36,9% aveva disturbi psicologici sotto la soglia, il 34,4% aveva disturbi lievi, il 22,4% aveva disturbi moderati e il 2% ha avuto gravi disturbi, con una percentuale più alta nelle giovani donne.
Un altro studio di Lai et al. (2019) condotto sempre in Cina e che ha coinvolto 1257 operatori sanitari, ha anch’esso analizzato i sintomi di depressione, ansia, insonnia, attraverso la somministrazione di un questionario e con l’utilizzo di scale che misurano l’ansia (Generalized Anxiety Disorder scale) e scale che misurano l’insonnia (Insomnia Severity Index).
Fra gli intervistati, il 60% erano infermieri e i restanti erano medici e il 60,5% del totale erano in servizio a Wuhan. Sul totale, circa il 50,4% ha riportato depressione; il 44,6% ansia, il 34% insonnia e il 71,5% angoscia.
Lo studio arabo
Lo studio arabo di Temsah et al. (2020) condotto in Arabia Saudita, ha coinvolto 582 operatori sanitari a cui è stato somministrato un questionario mirato ad indagare l’impatto del COVID e l’eventuale disturbo da stress post traumatico.
Gli operatori coinvolti, di cui circa il 62% erano infermieri, operavano tutti in terapie intensive o reparti d’urgenza. La maggior parte degli operatori sanitari coinvolti, secondo la scala del disturbo d’ansia generalizzata, presentava ansia e fra questi il 68,25% ansia lieve, il 20,8% ansia moderata, l’8,1% ansia alta moderata e il 2,9% ansia molto alta.
Ansia e attacchi di panico tra gli infermieri, una revisione della letteratura
Nel giugno scorso è stata anche pubblicata una revisione della letteratura, condotta da Luo et al. (2020) che ha preso in esame 62 studi internazionali di 17 diversi paesi condotti su operatori sanitari, cittadini e pazienti e di questi, 19 studi prendevano in esame esclusivamente gli operatori sanitari.
Gli studi hanno messo in luce come l’ansia sia uno dei fenomeni più frequenti, sia fra gli operatori sanitari che fra cittadini e pazienti, con una prevalenza fino al 33%. La depressione è il sentimento più studiato dopo l’ansia, anch’essa presente fra operatori sanitari, pazienti e cittadini, ma con una maggiore prevalenza fra i pazienti, rispetto agli operatori sanitari, con un picco fino al 32%. Per quanto riguarda angoscia, stress e disturbi da stress post–traumatico, la prevalenza è analoga fra cittadini e operatori sanitari, con un 35% sul totale.
Dalla revisione è emerso che il sesso femminile, un basso status socio–economico e l’isolamento sociale, sono fattori di rischio per lo sviluppo di ansia, stress o angoscia. Fra gli operatori sanitari, inoltre, è emerso che gli infermieri che lavorano in prima linea e hanno un contatto diretto con i pazienti COVID – 19 hanno disagi psicologici maggiori.
SARS-CoV-2, cosa genera stress negli operatori sanitari
L’Istituto Superiore di Sanità ha pubblicato un documento dal titolo “Indicazioni ad Interim per la gestione dello stress lavoro–correlato negli operatori sanitari e socio–sanitari durante lo scenario emergenziale SARS–COV-2”, che vuole essere una guida e un supporto a tutti gli operatori impegnati a gestire la pandemia.
Nel documento vengono elencati alcuni fra i principali elementi che generano stress negli operatori sanitari, fra cui:
Esposizione al rischio biologico
Mancanza di DPI
Carico di lavoro eccessivo
Gestione di pazienti complessi
Assenza di cure efficaci
Aumento di responsabilità
E alcuni elementi fonte di disagio, come:
Sentimenti di vulnerabilità e perdita di controllo
Paura per la propria salute e quella dei propri famigliari
Isolamento dalle proprie famiglie
Difficoltà o impossibilità a condividere sentimenti ed emozioni legate al lavoro
Paura
Rabbia
Tenuto conto degli effetti del COVID-19 sugli operatori sanitari il documento suggerisce alcuni spunti utili per gestire al meglio la pandemia e ridurre i disagi correlati ad essa. Fra gli interventi utili da applicare, vengono suggeriti:
Una migliore comunicazione all’interno dell’équipe, ma anche un miglior passaggio di informazioni a tutti i livelli
Una migliore organizzazione dei tempi di lavoro
Una migliore condivisione e lavoro di équipe
Una maggiore valorizzazione degli operatori