Un documento redatto e diffuso della Federazione Nazionale degli Ordini delle Professioni Infermieristiche presenta i numeri delle carenze di infermieri in Italia. Si sottolineano i sacrifici fatti in pandemia e si elencano una serie di richieste alla politica
Sono tra coloro che hanno pagato il prezzo più alto a causa del Covid, nonché figure centrali per il raggiungimento degli obiettivi del Pnrr. Eppure nel nostro paese sono ancora troppo pochi. Oggi in Italia mancano circa 70mila infermieri, il 45% al Nord, il 20% al Centro e il 35% al Sud. Troppi per far fronte alle esigenze del nostro Servizio sanitario nazionale e per garantire agli infermieri attivi condizioni di lavoro giuste e adeguate. Questi sono alcuni dei dati e delle considerazioni contenute in un documento redatto e diffuso della Federazione Nazionale degli Ordini delle Professioni Infermieristiche (Fnopi).
In Italia il rapporto infermieri-abitanti è al di sotto della media Ocse
Rispetto alla situazione internazionale, il rapporto infermieri-abitanti in Italia è di 5,5-5,6 infermieri ogni mille abitanti. Si tratta di «uno dei più bassi d’Europa secondo l’Ocse dove la media raggiunge gli 8,8», spiega la Fnopi.
Quello infermieri-medici, che dovrebbe essere secondo standard internazionali 1:3, è secondo l’Ocse di 1:1,5. La media Ocse è di 2,8, come lo è nel Regno Unito. «La Germania raggiunge i 3,2, la Francia i 3,3, la Svizzera i 4,1,» riferisce la Fnopi.
La pandemia, fa notare la Federazione, attraverso l’iniezione di organici 2020 per far fronte all’emergenza, ha permesso agli infermieri (con circa 8.800 unità in più) di recuperare tutte le perdite subite tra il 2009-2019. Tuttavia, precisa la Fnopi, si tratta di numeri che «non alleggeriscono la carenza o il fabbisogno legato ai nuovi standard del territorio, ma recuperano solo le perdite subite per i tagli legati alle razionalizzazioni di spesa, e comunque azzerano del tutto i numeri già bassi di disoccupazione e sottoccupazione».
Covid, in totale 320mila infermieri contagiati, 90 i morti
Gli infermieri, evidenzia ancora la Fnopi, continuano ad essere troppo pochi anche per far fronte ai nuovi standard fissati dal Pnrr e stabiliti nel DM 77 di riorganizzazione dell’assistenza territoriale.
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I dati di iscrizione ai test per le professioni sanitarie diffusi quest’anno dalla Federico ll parlano chiaro. Si registra purtroppo un preoccupante calo d’attrattività presso i giovani della professione infermieristica. Un allarme che ha registrato l’intervento della presidente Fnopi Barbara Mangiacavalli e di Teresa Rea, presidente Opi Napoli. La FNOPI ha identificato tre priorità inderogabili, inviate alle forze in corsa per le elezioni: incremento della base contrattuale e riconoscimento economico dell’esclusività delle professioni infermieristiche; riconoscimento delle competenze specialistiche; evoluzione del percorso formativo universitario. “La politica – ha detto Mangiacavalli – deve porsi obiettivi precisi: senza infermieri non c’è salute, l’Italia deve dimostrare di essere una nazione che investe sull’infermieristica, i cittadini non possono più aspettare”.
l’Opi Napoli punta il dito contro la scarsa attenzione alla professione da parte delle istituzioni sanitarie e non responsabili in buona parte del fenomeno. “Sia sotto il profilo strettamente professionale, sia sotto il profilo economico, la professione d’infermiere, soprattutto in questi ulti anni, è stata bistrattata e abbandonata a se stessa” denuncia Teresa Rea. “Altro che angeli ed eroi. Alla scarsa valorizzazione professionale si sono aggiunti turni massacranti dovuti ad una carenza di organici ormai endemica, e poi crescenti rischi d’aggressioni e di violenza contro i quali nessun provvedimento è stato preso. Senza contare un regime di precarietà e di incertezza occupazionale che rende la professione poco appetibile. Pochi infermieri significa mancata e cattiva assistenza ai cittadini”, ha detto infine la Rea. “A preoccuparsi dovrebbe essere quindi soprattutto la politica alla quale chiediamo impegni precisi sulle assunzioni. Alle Università sottolineiamo la necessità di revisione dei modelli formativi e alle istituzioni sanitarie una seria riflessione sui modelli di organizzazione dei servizi sanitari.”
Tratto da: www.ildenaro.it