All'esame della Giunta regionale la denuncia del Collegio OPI di Torino i casi di infermieri con contratto da "operaio" che di notte puliscono l'ascensore e di giorno svolgono le attività sanitarie proprie della loro professione
E' all'esame della Giunta regionale piemontese dal 9 gennaio la denuncia del Collegio OPI di Torino che ha segnalato alla Regione e all'ispettorato del lavoro i casi di infermieri con contratto da "operaio" che di notte puliscono l'ascensore e di giorno svolgono le attività sanitarie proprie della loro professione.
Il Collegio di Torino si è rivolto all'assessore Antonio Saitta per chiedere un Osservatorio delle professioni sanitarie e un potenziamento dei controlli sui contratti.
«Chiederò all'assessore al lavoro Gianna Pentenero di avviare un approfondimento», ha commntato Saitta. Pentenero, l'assessora al lavoro, conferma la volontà di intervenire: «L'OPI solleva una questione molto grave. Faremo le verifiche per andare a fondo affinché si possa contrastare questa situazione e capirne le ragioni».
Il Collegio di Torino ha presentato un esposto all'ispettorato del lavoro e, dove necessario, ai carabinieri dei Nas.
«Si fa in fretta a dire i sindacati non fanno nulla, i Collegi neppure – ha commentato il vicepresidente del Collegio, Barbara Chiapusso -. Il problema è a monte: vengono create condizioni secondo cui non è necessario l'intervento di nessuno perché" come da contratto" le cose stanno cosi. E tra le righe "se non ti piace te ne puoi sempre andare».
Il Collegio di Torino fa anche alcuni esempi i situazioni sulle quali ha ritenuto di intervenire.
Quello di alcuni infermieri soci-lavoratori di una cooperativa sociale, costretti, sulla base di un contratto che li inquadrava come operai, a svolgere attività infermieristica diurna e ausiliaria/pulizie durante la notte. Nel mansionario rivolto a" tutto il personale sia assistente che delle pulizie" viene riportato di provvedere alla immediata pulizia di eventuali spazi sporchi o oggetti sporchi (...) nello stesso tempo, in caso di necessità, il personale di pulizia deve cooperare con le assistenti. Il personale dell'assistenza deve collaborare con le addette alle pulizie in ogni momento.
A questo incipit segue una declaratoria di mansioni cha dal cambio pannoloni ad orario arriva a "le pulizie devono essere eseguite in modo tale che all'inizio del turno tutte le parti comuni, bagni, refettori ecc. siano perfettamente puliti e profumati, ascensori compresi".
Lo stipendio è diversificato di circa 1 euro/ora a seconda che l'infermiera sia presente sul turno come "assistente" o come "personale di pulizia".
In un'altra cooperativa, gli infermieri tra le 7,30 e le 8 devono controllare i ritardi alvo (?) per l'esecuzione di eventuali clisteri (fonte: mansionario turni –servizio infermeria) e poi smistare i rifiuti e, in barba alle raccomandazioni del Ministero, "preparare i farmaci serali utilizzando gli appositi blister, precedentemente alla somministrazione".
Il Collegio OPI di Torino sta da tempo operando con gli organi preposti per dare risposte agli infermieri. I loro diritti, intesi come diritto a vedersi riconoscere quanto riportato nelle leggi che dall'abolizione del mansionario gli conferiscono l'autonomia professionale di un professionista intellettuale, iscritto a un albo, in possesso di una laurea, per molti sono negati.
"C'è bisogno di una forte rete a sostegno – aggiunge Chiapusso - del loro ingresso nel mondo del lavoro. Vi sono realtà virtuose in cui vengono rispettate le norme e conseguentemente le diverse professionalità; vi sono realtà, come quelle sinteticamente descritte, in cui vengono studiate a tavolino le possibilità per aggirare le leggi e quindi sfruttare, e dico sfruttare, le risorse umane in loro possesso".
Secondo l'OPI sarebbe necessario un osservatorio delle professioni sanitarie da insediare nella Regione. Un sistema che permetta di monitorare costantemente i requisiti di idoneità delle strutture presso cui andranno a operare i professionisti (anche e non per ultimo, a tutela del cittadino) nel rispetto delle loro competenze; i contratti posti in essere (in collaborazione con l'ANAC), l'individuazione di standard assistenziali e così via. E sarebbe necessario potenziare l'attività delle commissioni di vigilanza delle asl, standardizzando gli indicatori a cui far riferimento.
Manca l'assistenza sul territorio e l'unica risorsa in caso di bisogni di salute è il Pronto soccorso: serve un modello capace di porre il paziente al centro del percorso di cura, puntando all'integrazione e alla personalizzazione dell'assistenza
La riduzione dei posti letto negli ospedali e la contemporanea assenza di un'organizzazione valida sul territorio hanno dimostrato nel periodo dell'influenza annuale e in concomitanza con le festività natalizie (ma è così anche ad esempio durante l'estate e in molti altri periodi dell'anno), l'enorme difficoltà ricettiva dei pronto soccorso.
Il problema primario è nel fatto che un malato, magari anche cronico, che ha necessità di cure, per soddisfare i propri bisogni, non trovando nulla fuori dell'ospedale, ha come unico riferimento il pronto soccorso.
Se su circa 20,5 milioni di accessi l'anno al pronto soccorso solo il 15% è ricoverato, vuol dire che nell'85% dei casi (oltre 17 milioni di accessi) ci si trova difronte a una richiesta che con molta probabilità e in alte percentuali (almeno il 50%) avrebbe anche potuto avere una soluzione in strutture territoriali opportunamente organizzate, ma oggi del tutto carenti.
E che il problema sia legato proprio alle ristrettezze organizzative si capisce anche dai dati dell'Annuario statistico del ministero della Salute. La percentuale di ricoveri (e quindi di utilizzo dell'ospedale perché carente il territorio e, comunque, di casi più gravi perché assente un filtro capace di intervenire nelle prime fasi del bisogno sanitario) dopo l'accesso al pronto soccorso è in media in Italia dell'8,2%. Al di sopra di questo valore ci sono praticamente tutte le Regioni in piano di rientro e commissariate (tranne il Lazio), con valori che in Puglia raggiungono il 22% di ricoveri e la Liguria che essendo quella più "vecchia" ha esigenze maggiori verso la popolazione anziana e non autosufficiente. Al di sotto invece le altre Regioni (al minimo c'è il Friuli Venezia Giulia con il 3,1%), dove pur non in modo spesso ottimale, ma l'organizzazione territoriale è più presente.
Se si potesse poi evitare il 10% circa di ricoveri ripetuti (quelli cioè che nella maggior parte dei casi sono legati a una mancata assistenza post-dimissioni), si potrebbero risparmiare oltre ai problemi di salute e qualità di vita dei pazienti, oltre un miliardo di euro di spesa, calcolato in base agli ultimi rapporti sulle schede di dimissione ospedaliera del ministero della Salute.
"La presa in carico degli assistiti, territoriale e ospedaliera – spiega Barbara Mangiacavalli, presidente della Federazione nazionale dei Collegi OPI che illustra la proposta OPI per snellire ricorso al pronto soccorso e ricoveri - deve prevedere un modello che si caratterizzi per la capacità di porre il paziente al centro del percorso di cura, puntando all'integrazione e alla personalizzazione dell'assistenza. E', infatti, particolarmente funzionale allo sviluppo e all'utilizzo dei percorsi clinico assistenziali integrati, la traduzione locale delle linee guida nella pratica clinica, cosa che pare rispondere meglio non solo ai bisogni assistenziali di pazienti sempre più anziani e affetti da complesse polipatologie, ma anche alla necessaria integrazione multidisciplinare e multiprofessionale".
"Secondo le esperienze regionali – sottolinea - un sistema di questo tipo potrebbe anche garantire iniziative di prevenzione e promozione della salute e dei corretti stili di vita per incidere precocemente sui determinanti di salute, per ridurre sia l'incidenza delle malattie croniche, sia la progressione della malattia già esistente, per potenziare a livello territoriale la presa in carico delle dimissioni difficili, attraverso l'impegno di tutti i professionisti coinvolti".
Il paradosso è che il modello già c'è, è stato già disegnato ed è quello contenuto sia nel Piano nazionale cronicità che per forza di cose punta al territorio, ma anche dagli stessi nuovi Lea che stanno per diventare operativi. "Il problema è l'attuazione – spiega Mangiacavalli – rallentata da modelli ancora abbarbicati al passato e spesso anche a una visione miope e antica della multiprofessionalità da parte di alcune categorie professionali".
Secondo l'OPI, in ospedale l'assistenza dovrebbe avvenire in base a diversi livelli di complessità assistenziale ed intensità delle cure: un livello di intensità alta che comprende le degenze intensive e sub-intensive; un livello di intensità media che comprende le degenze per aree funzionali (area medica, chirurgica, materno infantile) e un livello di intensità bassa dedicata a pazienti post acuti. Il medico, a cui è affidata la responsabilità clinica del paziente, concorre alla cura secondo le proprie competenze e l'infermiere, a cui è affidata la gestione assistenziale per tutto il tempo del ricovero, valorizza appieno la propria capacità professionale. Le figure chiave che la erogheranno saranno quella del tutor medico e del team infermieristico dedicato.
Sul territorio dei pazienti si occuperà un team multiprofessionale, adeguatamente formato e che utilizzerà i sistemi di comunicazione interpersonale, compresi gli strumenti della comunicazione a distanza (ICT), di cui dovrà essere dotato. Nel team, almeno uno degli infermieri svolge la funzione di "care management", organizza il richiamo periodico dei pazienti, mantiene il collegamento diretto con il "tutor" ospedaliero, organizza la partecipazione a programmi educativi di gruppo.
Gli obiettivi del territorio sono chiari: ridurre il ricorso al pronto soccorso e i ricoveri impropri e anche quelli che, seppure appropriati, originano da un carente modello erogativo di continuità di assistenza e dall'insorgenza di complicanze croniche; prevenire le complicanze che necessitano di ricovero e, in ogni caso, mettere in atto tutte le misure di riconoscimento precoce delle complicanze.
E fuori dell'ospedale vanno organizzate le strutture adatte per limitare ancora una volta accessi e ricoveri: "Accanto all'ospedale di comunità – spiega Mangiacavalli - che consente l'assistenza alla persona e l'esecuzione di procedure clinico-assistenziali a media/bassa intensità e breve durata e all'ambulatorio a gestione infermieristica che consente di accogliere pazienti affetti da patologie croniche in fase di stabilizzazione e favorisce le dimissioni protette, va definito il ruolo chiave degli infermieri nell'assistenza domiciliare integrata, in quella presso le strutture residenziali e i centri diurni dove sia i trattamenti intensivi, di cura e mantenimento funzionale, sia quelli estensivi di cura e recupero funzionale a persone non autosufficienti con patologie che richiedono elevata tutela sanitaria con continuità assistenziale, richiedono la presenza infermieristica sulle 24 ore. In questi tipi di assistenza poi – aggiunge mangiacavalli – potrebbero essere utilizzati anche i nostri infermieri liberi professionisti: sono circa 40mila disseminati su tutto il territorio nazionale, da poter utilizzare ad esempio grazie a modelli organizzativi innovativi e convenzioni ad hoc".
Accanto alle strutture intermedie poi ce ne sono altre, che per lo più restano ancora sulla carta, come ad esempio la farmacia dei servizi. "Non voglio entrare nel merito dei vantaggi assistenziali evidenti – prosegue Mangiacavalli - , ma basterebbe pensare a quale snellimento enorme ad esempio per le liste di attesa ne potrebbe derivare. Il cittadino sa bene dov'è la sua farmacia di riferimento e spesso vi si rivolge come prima istanza non avendo altre strutture organizzate in un significativo range temporale sul territorio. Si tratta di applicare le norme già in vigore che prevedono nella farmacia dei servizi, spazi dedicati a prestazioni che possono essere offerti dagli infermieri. Gli infermieri liberi professionisti rappresentano sicuramente una risorsa importante in questo senso che può essere gestita sia dedicando, appunto, spazi ad hoc all'interno delle farmacie, sia prevedendo, grazie a nuovi sistemi informatici, servizi di contatto diretto con singoli o con strutture infermieristiche dove i professionisti possono organizzarsi in team di assistenza. Ed è anche per questo che tra le nostre prossime azioni abbiamo previsto un accreditamento selettivo dei professionisti: una garanzia in più per i cittadini e per il sistema".
Sembra aprirsi sotto i migliori auspici questo nuovo anno per i professionisti infermieri abruzzesi. Lunedì prossimo, 16 gennaio, si insedieranno i primi due dirigenti infermieristici nell'Azienda sanitaria locale di Teramo, quale esito del primo concorso per l'attribuzione di incarichi dirigenziali a tempo indeterminato. «L'esperienza pionieristica di Chieti – afferma il presidente del Collegio provinciale OPI di Chieti, Giancarlo Cicolini – è ancora in fase di sviluppo, ma ha comunque, per la prima volta nella nostra regione, visto l'attivazione di un Servizio delle professioni sanitarie, garante di un'assistenza sempre meglio organizzata e in grado di soddisfare i mutevoli bisogni dei cittadini. La presa in carico globale (territoriale e ospedaliera) degli assistiti ha necessità di prevedere modelli organizzativi in grado di centralizzare il paziente in quel percorso di cura sempre più integrato e personalizzato».
Un plauso arriva dunque dai Collegi OPI delle quattro province, che rappresentano gli infermieri abruzzesi e che tanto si sono prodigati con l'assessore regionale alla Programmazione sanitaria, Silvio Paolucci, per realizzare Dipartimenti delle professioni sanitarie in tutte le Asl.
Il presidente dell'OPI di Teramo, Cristian Pediconi, pur entusiasta di questo primo passo nella Asl di riferimento per la realizzazione di un'organizzazione innovativa, auspica che «le due figure dirigenziali siano collocate onorando le linee guida per la realizzazione dei nuovi atti aziendali, presentati alla fine dello scorso anno dall'assessore Paolucci».