Ci troviamo in un momento importante del complessivo processo di evoluzione del Sistema Sanitario Italiano contrassegnato dalla recente emanazione di importanti indirizzi di politica sanitaria: LEA e Patto della salute. Nell’attuale contesto socio -sanitario, che sta profondamente cambiando, i cittadini e le persone che richiedono cure partecipano attivamente a caratterizzare i contesti di cura e salute e i professionisti Infermieri e sanitari, a tutti i livelli di responsabilità, si trovano ad agire con competenze sempre più elevate e validate scientificamente. Nuove dimensioni richiedono nuove interpretazioni, necessitano nuove abilità di comunicazione ed interazione. Ciò comporta nuove sfide ai leader delle professioni infermieristiche e sanitarie, a chi si occupa di delineare e gestire politiche, strategie ed azioni.
Nuove dimensioni hanno necessità di nuovi approcci e soluzioni. Diventa fondamentale la comunicazione e costruzione di relazioni multi-professionali, l’allineamento dell’organizzazione e la cultura, le evidenze scientifiche e le buone pratiche così come il miglioramento degli ambienti di pratica professionale. Il mondo delle organizzazioni socio- sanitarie e tutti i leader delle professioni infermieristiche e sanitarie sono coinvolti nella necessità di interpretare questi cambiamenti con riferimento alla deontologia ri-orientando le scelte nella organizzazione e nella formazione.
L'intento del Convegno è di dare evidenza delle dinamiche utili a comprendere come la clinica, la ricerca, l'etica e l'organizzazione siano necessarie ed in sinergia l'un l'altra.
Che contributo allo sviluppo di nuovi approcci può fornire il management delle professioni infermieristiche e sanitarie.
La Dirigenza ha il dovere di riflettere, discutere ed individuare orientamenti nei quali siano condivisi valori e percorsi sia con i professionisti che con i cittadini. Il leader delle Professioni Infermieristiche e Sanitarie, deve porsi l’obiettivo della conoscenza scientifica, della capacità di utilizzare le innovazioni tecnologiche, inoltre deve sviluppare e coltivare nuovi skill, come la capacità di essere creativo ed avere il coraggio di proporre e sperimentare innovazioni.
L’infermiere di famiglia responsabile delle cure domiciliari del paziente.
E le cure domiciliari, in quanto sostitutive, ma anche integrative e continue, del ricovero ospedaliero, sono gratuite e non soggette a ticket, indipendentemente dal reddito.
A stabilirlo è il sul disegno di legge 1346 (primo firmatario Gaspare Antonio Marinello, M5S) “Introduzione della figura dell’infermiere di famiglia e disposizioni in materia di assistenza infermieristica domiciliare” su cui la Federazione nazionale degli ordini delle professioni infermieristiche (FNOPI) è stata ascoltata oggi in un’audizione alla Commissione Igiene e Sanità del Senato a cui ha partecipato per la FNOPI Nicola Draoli, componente del Comitato centrale della Federazione e presidente dell’ordine di Grosseto.
Ddl garanzia di applicazione uniforme delle previsioni del Patto per la salute
Secondo la FNOPI, che ha sottolineato l’importanza dei contenuti del Ddl, sarebbe utile, anche in aderenza a quanto previsto nel nuovo Patto per la salute approvato in Stato-Regioni – del quale il Ddl dovrebbe rappresentare la garanzia di applicazione uniforme in tutte le Regioni e dare le indicazioni per essere sviluppato – e in coerenza con quanto descritto nello stesso Ddl, estendere la definizione dell’infermiere di famiglia a infermiere di famiglia/comunità.
L’infermiere così inquadrato è infatti un professionista che agisce su livelli individuali, familiari e comunitarie e non potrebbe essere altrimenti se vogliamo riformare l’assistenza territoriale in modalità proattività, lavorando sulle reti, sulle risorse e sui determinati di salute che non possono e non devono fermarsi al singolo individuo.
Definire un bacino di popolazione
Inoltre, per mettere a regime il modello, è anche importante che l’infermiere di famiglia e comunità abbia un bacino di popolazione di riferimento stabilito, variabile a seconda dei contesti geografici e demografici, che racchiuda tutti e non solo persone già inserite in un registro di cronicità e bisogno assistenziale.
L’Infermiere di famiglia e comunità deve diventare un riferimento riconoscibile e raggiungibile liberamente sia da quella popolazione di riferimento ma anche dai medici di medicina generale e dai pediatri di libera scelta che hanno in carico quella stessa popolazione. E ovviamente tale riconoscibilità e raggiungibilità avviene anche al contrario dall’Infermiere di Famiglia e Comunità.
I vantaggi dell’infermiere di famiglia/comunità
Secondo i dati illustrati dalla FNOPI all’audizione, dove il modello è già attivo l’infermiere di famiglia e comunità evita ricoveri impropri, previene e diminuisce le complicanze, promuove auto cura e consapevolezza generando appropriatezza economica oltre clinica proprio partendo dall’educazione al singolo e alle comunità, armonizza i percorsi aumentando fiducia nel sistema e facendo diminuire i contenziosi, ma soprattutto risponde ai bisogni delle persone che dopo brevi esperienze di ospedalizzazione necessitano di lungo supporto assistenziale a volte coincidente con la vita stessa delle persone.
L’infermiere di famiglia/comunità si è dimostrato il professionista che mantiene il più stretto contatto con il cittadino della propria zona di competenza e rappresenta la figura professionale di riferimento che assicura l’assistenza infermieristica generale in collaborazione con tutti i professionisti presenti nella comunità. E ha un impatto anche nell’attività educativa e di auto addestramento non solo dei pazienti ma anche dei caregiver che sono anch’essi il secondo carico di complessità che si affianca la persona assistita sia per le risorse che per le casse dello Stato.
Attenti alla carenza
Una nota semmai che meriterebbe maggiore considerazione e che la FNOPI ha sottolineato è quella che riguarda la carenza di infermieri, molto evidente così come per altre figure professionali sanitarie, ma che nell’ottica della realizzazione dell’infermiere di famiglia/comunità (Ifec) assume anche maggior rilevanza.
Sul territorio, per rispondere ai bisogni di salute degli oltre 24 milioni di cittadini con patologie croniche o non autosufficienza, la Federazione nazionale degli infermieri ha calcolato la necessità media di almeno un infermiere ogni 500 assistiti (assistenza continua) di questo tipo: circa 20mila infermieri di famiglia/comunità.
Un numero che è desumibile anche calcolando un infermiere di famiglia e comunità ogni 3mila cittadini circa e ovviamente nelle Regioni in cui il numero di anziani/cronici è più alto o con profili di densità abitativa ridotti o numerose comunità interne, il fabbisogno è probabile che aumenti.
Utile nelle aree interne e contro le disuguaglianze
L’infermiere di famiglia/comunità inoltre può rappresentare una soluzione per quanto riguarda l’assistenza nelle cosiddette “aree interne”: si tratta della cura di oltre un terzo del territorio italiano (le zone montane coprono il 35,2% e le isole l’1% della Penisola) e la collaborazione tra infermieri di famiglia e di comunità sul territorio – sociale e di cura – per il sostegno in quelle zone che oggi spesso vengono spopolate perché prive proprio di supporti sociali e più in generale di servizi pubblici, rappresenterebbe anche uno strumento utile alla riduzione delle attuali disuguaglianze.
La FNOPI ha concluso sottolineando l’opportunità e la bontà del Ddl all’esame del Parlamento, che, con eventuali, possibili integrazioni, dovrebbe essere approvato al più presto per consentire a tutti i cittadini di poter usufruire dei vantaggi descritti e al sistema di garantire una organizzazione maggiormente appropriata e mirata non solo alla cura e all’assistenza, ma anche alla vera e propria prevenzione, sostegno e indirizzamento e non solo delle persone croniche.
Un disegno innovativo, ormai istituto in diverse regioni, partito dalla presa in carico della persona in modo continuativo. Parla Falasca, medico epidemiologo, anima dell'iniziativa
LI CHIAMANO "infermieri di comunità", perché non stanno negli ospedali, ma vanno a casa degli anziani che vivono fuori dai grandi centri. Il progetto pilota, finanziato dai fondi comunitari, per ora interessa solo cinque aree in Europa - Piemonte, Provenza, Carinzia, Slovenia e Liguria - ma potrebbe espandersi a macchia d'olio.
"La storia - racconta Pasquale Falasca, medico epidemiologo, anima dell'iniziativa - comincia 5 anni fa, quando i sindaci delle aree interne mi chiamarono dicendomi che c'erano dei fondi a disposizione per un progetto importante". Da lì è cominciata un'avventura durata tre anni, serviti per costruire un processo di sperimentazione di idee innovative da mettere in campo nel campo della sanità e del sociale. "La prima - continua Falasca - è stata quella delle ostetriche di comunità: vale a dire operatori sanitari che non prendessero in carico le persone solo quando queste hanno bisogno, ma che provassero ad ascoltare le loro vite, ad "esserci" in modo più profondo e completo". Un disegno innovativo, ormai istituto in diverse regioni, partito dalla presa in carico della persona in modo continuativo, con modalità nuove, legate al metodo Montessori. "Questo percorso, durato 10 mesi, - spiega Falasca - ha in primis coinvolto le ostetriche di tutti i punti nascita della nostra azienda, creando dei legami profondi, e cambiando il sistema. All'insegna delle emozioni, dell'entusiasmo e dell'umanità. Poi siamo arrivati agli anziani".
Tutto è documentato su un sito ad hoc, resoconto di 18 mesi di attività non privi di sorprese. "Occupandomi del progetto, ho scoperto che in letteratura medica mondiale c'è una gran quantità di studi e attività sull'applicazione del metodo Montessori alla demenza. Un approccio, basato sul prendersi cura della persona in modo relazionale, che sta portando ottimi risultati. A partire da questo, grazie agli infermieri di famiglia e comunità, abbiamo pensato di creare la "Palestra della mente - Montessori", ovvero una serie di centri diurni itineranti, dove si prende un appuntamento e si comincia a costruire una relazione strutturata, basata sulla vicinanza e sulla cura del contesto intorno all'anziano".
Il progetto ha coinvolto anche l'inventore dell'approccio, Cameron J. Camp, che è stato invitato a Roma a un seminario nel giugno 2018, e tutt'ora continua a seguirne gli sviluppi con successo. "Stiamo anche portando avanti, - continua Falasca - sempre nel solco della filosofia degli infermieri di famiglia e comunità e in collaborazione con l'università di Genova, un corso di formazione in collaborazione con Cittadinanzattiva, misto, sugli aspetti della presa in carico personale, relazionale, da affiancare alla parte tecnica".
La Strategia nazionale per le aree interne, cofinanziata dalla Ue, punta a sopperire alla carenza dei servizi nei territori e ad alleggerire il peso degli ospedali, fornendo servizi accessori attraverso una rete territoriale complementare. In particolare, nell'area del Basso Sangro-Trigno, che comprende tre vallate - Trigno, Sangro, Aventino - sono stati coinvolti 33 comuni, per un totale di 22mila abitanti (ogni Comune conta meno di mille persone). Nelle aree interne abruzzesi più del 50% della popolazione è anziana; i plessi scolastici di media non hanno più di 39 alunni, e sono moltissime le pluriclassi che non garantiscono un'istruzione ottimale. Data l'età avanzata, il numero dei ricoveri è elevatissimo e si è sviluppata, in parallelo, una certa carenza di coordinamento a livello di operatori sociosanitari e di servizi.
"La Strategia, in questo caso, - conclude Falasca - ha dato l'opportunità di avviare una sperimentazione importante, supportata da ricerche scientifiche recenti accreditate, e basata sul principio, fondamentale, che la nostra capacità di autocurarsi è una medicina potentissima".
Il progetto è realizzato con il contributo della Commissione Europea. Dei contenuti editoriali sono ideatori e responsabili gli autori degli articoli. La Commissione non può essere ritenuta responsabile per qualsivoglia uso fatto delle informazioni e opinioni riportate.
Vai all'articolo originale tratto da www.repubblica.it
Per la prima volta in Italia è stata concepita e conclusa una iniziativa volta al recepimento della Legge Stanca del 9 gennaio 2004, n. 4 (G.U. n. 13 del 17 gennaio 2004) recante «Disposizioni per favorire l’accesso dei soggetti disabili agli strumenti informatici». Il contenuto di questa pagina proviene dall'OPI Carbonia Iglesias, ringraziamo i colleghi.
Nei siti internet degli OPI Carbonia Iglesias, Bologna, Frosinone, Pavia, Pordenone, Pescara, Teramo, Ragusa, Foggia, Ancona, Rimini, Alessandria, Napoli, Sassari e Oristano, aderenti alla FNOPI Federazione Nazionale Ordini Professioni Infermieristiche, stiamo ufficialmente e definitivamente per inserire, dedicate ai disabili sensoriali e loro care giver che avessero necessità e/o interesse di approfondire sulla professione infermieristica:
Nella vita professionale e nella rappresentanza istituzionale della FNOPI Opi provinciali ci sono momenti che suggellano un percorso, un impegno, un modo di vedere l’agire per nome e per conto di infermieri e assistiti.
Poter esporre questo progetto in dirittura d’arrivo complessivo e definitivo è uno di quei momenti perché non ci stiamo accingendo a pubblicizzare un video da parte di una infermiera sorda o da un infermiere interprete o un libro fine a se stesso o un audio realizzato da studenti infermieri, ma a condividere con i cittadini una lettura del mondo che circonda l’ambito nel quale gli infermieri dei nostri territori operano quotidianamente partendo dai bisogni dei più fragili, dei disabili, degli inabili, degli inascoltati, dei non percepiti.
Ci siamo impegnati e continueremo ad impegnarci per intercettare una necessità delle comunità dei ciechi e dei sordi: essere posti nelle medesime condizioni di chi vede e sente, nel nostro caso per mano degli infermieri ai quali si affidano nel contesto della responsabilità del governo dell’assistenza ospedaliera e territoriale, intimamente convinti che questo gesto di riguardo nei confronti dei nostri interlocutori abbia un valore aggiunto ed un peso specifico che l’infermieristica meritava di vedere inclusi e riconosciuti e annoverare tra le qualità che la contraddistinguono tra le professioni d’aiuto e sanitarie.
Quando si valuta una barriera da rimuovere per la fruizione di risposte assistenziali all’altezza delle aspettative e dei diritti dei cittadini, la professione infermieristica è e sarà sempre la prima a cercare soluzioni anche nelle difficoltà delle disabilità sensoriali e quindi nella sfera della comunicazione: questo era il nostro obiettivo e questo abbiamo portato a compimento testimoniando come si possano declinare a livello territoriale sollecitazioni a recepire leggi delle Stato, alla buona amministrazione e alla competente rappresentanza degli Ordini Professioni Infermieristiche provinciali che presiediamo unitamente al Consigli Direttivi.
In particolare: